domenica 27 novembre 2011

Scuola, bambini: l’attenzione e il comportamento impulsivo

Quando un bambino non riesce a stare fermo e a concentrarsi e non segue le indicazioni dei genitori e degli insegnanti;
quando il suo comportamento sembra spinto da una macchinetta inesauribile;
quando non riesce a giocare in modo sereno e coinvolgente nonostante i buoni propositi e le continue promesse, allora dobbiamo intervenire per dargli seriamente una mano.

Spesso alla base di questi disturbi ci sono problematiche relazionali e atteggiamenti genitoriali ma anche l’insegnante può fare molto.
Gli studi sul concetto di “attaccamento” e di “base sicura” ci possono dare una mano.
In questa serie di articoli approfondiremo alcune nozioni e riferiremo degli studi che hanno fatto spiegato l’origine di certi comportamenti.
Il concetto di una base personale sicura da cui un bambino, un adolescente, o un adulto parte per esplorare e a cui ritorna di tanto in tanto, è un concetto cruciale per capire come una persona
emotivamente stabile si sviluppi e funzioni per tutta la vita.
Gli studi di Spitz sulle conseguenze della deprivazione di cure parentali nei bambini abbandonati e quelli etologici di Harlow, portarono Bowlby, fin dal 1950, a teorizzare che la base motivazionale più forte nei cuccioli dell’uomo fosse la ricerca di un valido legame affettivo con un adulto accudente per stabilire con esso un legame di attaccamento.
I bambini fin dalla nascita manifestano abilità sociali ed emotività.
Essi sono biologicamente predisposti per apprendere a riconoscere chi si prende cura di loro e per indurre tali persone a soddisfare i loro bisogni.
Il bambino è predisposto, quindi, a comportamenti di attaccamento i quali si rendono palesi in situazioni di emergenza come la sofferenza, la fatica e qualunque cosa che lo impaurisca, e anche dal fatto che la madre sia o appaia inaccessibile.
E’ stata studiata la qualità della risposta della madre ai segnali affettivi che provengono dal figlio nelle situazioni di emergenza.
Ella può non riuscire a riconoscere l’angoscia del figlio in tali situazioni, vuoi per cause esterne che per cause interne (malattia mentale).
Può anche solo riconoscere nel bambino una generica sofferenza ma non essere in grado di individuarne la qualità e non riuscire a dare una risposta adeguata, cioè empatica, in grado di sintonizzarsi sulle sue esigenze.
In questi casi, cioè quando l’equilibrio dell’esperienza del bambino è sbilanciato dalla parte del dispiacere per l’incapacità della madre di riconoscere le determinanti contestuali o fisiche della tensione o per l’incapacità di rispondere agli affetti negativi che sono stati stimolati, allora l’angoscia e la rabbia persistono.
Le scoperte di M. Ainsworth suggeriscono che le madri che rispondono appropriatamente e prontamente ai segnali dei loro figli hanno bambini che sperimentano una modesta ansia rispetto alla disponibilità della madre alla protezione e al conforto.
Al contrario, l’insensibilità materna precoce sembra portare ad una preoccupazione nei confronti della presenza o ad un suo evidente rifiuto quando viene sperimentato il bisogno di attaccamento.
Sono state individuate tre tipologie di attaccamento: “sicuro”, “ansioso” ed “evitante” nei bambini piccoli in relazione al rapporto stabilito con la figura di accudimento – caregiver per gli anglosassoni.
Una prima conclusione per adesso è questa.
Il legame di attaccamento nasce da un istinto che agisce in tutti gli esseri umani e che tende a ricercare la vicinanza di un adulto per richiederne cura, attenzione e protezione, soprattutto nei momenti di bisogno.
Si comprende quanto questo legame sia importante nella scuola in particolare con bambini che manifestano problemi di apprendimento e scarso adattamento.
a cura del dott. Mancino
Psicologo