venerdì 30 dicembre 2011

Vicenza, Seminario gratuito sul Metodo Feuerstein




La diversità, l'handicap sono tematiche abbastanza scottanti, di difficile approccio, ma se analizzate profondamente, danno da sole la possibilità di affrontarle nella maniera adeguata.
Il compito non è facile, non può essere lasciato nelle mani esclusive della scuola, ma è necessario invece l'intervento sinergico di più forze (scuola, extrascuola, famiglia, mass media, associazioni) che soltanto in questo modo potranno garantire il processo di cambiamento, operando all'unisono, attraverso diverse azioni di intervento tra cui la formazione e l'informazione.
Purtroppo capita spesso di vedere nell'alunno diversamente abile un "incidente" da evitare, un incidente di cui se ne deve occupare esclusivamente l'insegnante di sostegno.
Questo succede perché è presente nella scuola una concezione centrata sull'insegnamento dove il vero protagonista è il docente e non l'alunno.
Non ci si rende conto ancora che l'eterogeneità rappresenta la normalità all'interno di un contesto classe e che le difficoltà di un allievo diversamente abile non costituiscono un incidente da chiudere al più presto possibile, ma una risorsa da cui partire per creare un processo formativo di qualità, dove tutti diversamente abili e non hanno l'opportunità di "imparare ad imparare".
Di fatto non è e non può ritenersi sufficiente attuare l'inserimento dei ragazzi diversamente abili nella scuola affinché si crei integrazione.
Quest'ultima è un processo che deve essere costruito caso per caso, situazione per situazione, e non dev'essere finalizzata al rapporto alunno diversamente abile - insegnante di sostegno.
Perché si sviluppi nella scuola la capacità di essere inclusiva per tutti, una scuola capace di offrire risposte ai bisogni specifici di ognuno tenendo conto che ognuno è e rappresenta una "speciale normalità" occorre lavorare attraverso la Pedagogia della Mediazione. Occorre riconoscere che dobbiamo "non accettarli cosi come sono" come sostiene il Prof. Reuven Feuerstein e aiutarli a cambiare, cambiando prima di tutto l'ambiente dove vivono.
Nel riconoscere ad ogni alunno la sua "speciale normalità" si richiede di creare i più diversificati bisogni educativi perché la vera integrazione è il risultato di un'esperienza scolastica, didattica e di vita, finalizzata a promuovere ogni alunno, diversamente abile e non.

Il 21 gennaio 2012 la nostra associazione organizzerà a sue spese un convegno : “Vecchi e nuovi saperi strategici sui processi di pensiero e di apprendimento. Introduzione al pensiero di Reuven Feuerstein a alla teoria della modificabilità cognitiva strumentale” con partecipazione gratuita,
Con il pratrocinio del comune di Vicenza e dell'ufficio scolastico provinciale


Certi di farvi cosa gradita vi alleghiamo locandina e manifesto e attendiamo le vostre iscrizioni via mail a rubinstein-taybi@hotmail.it
Approfittiamo per augurarvi un sereno Natale e un buon 2012
                                                          Rts Una Vita Speciale
                                                          il presidente Cristina Gasparet

mercoledì 21 dicembre 2011

Troppe diagnosi di dislessia: la replica del Prof.re Giacomo Stella

Da quando i dislessici hanno una legge che li tutela avevo deciso di non reagire più alle sciocchezze che ogni tanto vengono dette o scritte da tromboni che citano ricerche senza mai presentarle nelle sedi di confronto scientifico, o da insegnanti che si sentono privati della loro arma letale (la bocciatura) nell’educare i loro studenti. Discutere e ragionare con chi oppone chiacchiere e fanfaronate ai risultati di anni di ricerche è una perdita di tempo inutile perché queste persone in genere non vogliono ascoltare e non vogliono documentarsi. Ma la pagina che avete pubblicato sul vostro giornale sulla dislessia rappresenta una svolta nei panorama dei “negazionisti”: non dice infatti che la dislessia non esiste, ma dice che” la dislessia è troppo diffusa per essere vera”. Argomento ideologico e non scientifico molto pericoloso perché sarebbe come dire che un fenomeno viene accettato solo se è piccolo, invisibile, così non dà fastidio. Storicamente è sempre stato così con le minoranze e con i diversi. E in effetti è lo stesso argomento che si usa con gli extracomunitari: vanno bene e ci servono se sono pochi e non si vedono. Se diventano troppi, ci costringono a cambiare le nostre abitudini e questo ci disturba.
Se i dislessici diventano troppi allora la scuola è costretta a cambiare, magari a introdurre i computer per tutti o ad aggiornare la didattica, o a ripensare ai criteri di valutazione. Come si da dire dire che sono troppi? Quali dati si portano? Magari ne suggerisco qualcuno: l’ufficio scolastico regionale dell’Emilia Romagna nel 2009 ha svolto una ricerca alla quale hanno partecipato il 51% delle scuole pubbliche e paritarie di ogni ordine e grado della regione. In totale i dislessici diagnosticati sono 4452, che corrisponde allo 1,47% della popolazione scolastica della stessa regione. Questi sono numeri certi e corrispondono un terzo circa di quelli citati come percentuale attesa. Dove sono tutte queste diagnosi? Forse dà fastidio e manda in confusione la domanda diffusa di tante famiglie che non riesce a ricevere risposte dai servizi impreparati ad affrontare il problema sia in termini numerici che clinici.
Il 3 % della popolazione scolastica italiana corrisponde a 240.000 bambini e studenti. Non sono né tanti né pochi, sono bambini e famiglie che combattono quotidianamente oltre che per vincere la difficoltà di apprendere e stare al passo con le richieste della scuola, anche contro l’ignoranza di chi parla di malattia, di medicalizzazione e di ospedalizzazione delle scuole. Di chi , come te, alimenta la confusione fra ADHD e dislessia, parla a vanvera di inutilità della rieducazione e di uso dei computer che oggi tutti i bambini usano dappertutto tranne che nella scuola. Anche in questo caso ci sono tonnellate di documenti prodotti dalla ricerca che dicono che la dislessia non è una malattia, ma l’espressione di una piccola differenza di alcune aree del cervello che non impedisce di imparare, ma lo rende molto più faticoso. E in questa società che vuole tutto e subito questa fatica e lentezza non viene tollerata. Ma forse questo è un concetto troppo elaborato per chi è abituato a distinguere i malati dai sani, i neri dai bianchi, gli intelligenti dagli stupidi. In ogni caso l’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato le linee guida per la diagnosi della dislessia, che prevedono una precisa e (ahimè per i bambini) lunga batteria di prove metodologicamente rigorose, da cui sono assenti proprio i suoi questionari. Chi alimenta scetticismo e confusione alla fine contribuiscono a mettere pietre nel già pesante zaino che i dislessici si portano a scuola tutte le mattina.
Giacomo Stella
Fondatore Associazione Italiana dislessia, Ordinario di Psicologia clinica, Università di Modena e Reggio Emilia
tratto da corrieresalute.it 
Per ulteriori informazioni su Applicazioni del Metodo Feuerstein con i bimbi dislessici potete inviarmi una mail al seguente indirizzo: m.boninelli@unive.it 

martedì 20 dicembre 2011

domenica 18 dicembre 2011

Dislessia, piccolo Vademecum per Genitori

Cari Genitori, 
su interessante blog ho trovato questo piccolo vademecum sulla dislessia che penso possa esservi di aiuto. 
Il vademecum è creato dalla Dr.ssa Giovanna Giacomini e lo trovate nel seguente link 
Per ulteriori informazioni su come utilizzare il Programma di Arricchimento Strumentale con i bambini/ragazzi dislessici potete inviarmi una mail al seguente indirizzo: m.boninelli@unive.it 



giovedì 15 dicembre 2011

Principi di Accreditamento per gli Specialisi P.A.S. Metodo Feuerstein


Per lungo tempo la politica del Feuerstein Institute è stata quella di aprire la
formazione  al  Programma  di  Arricchimento  Strumentale  (PAS)  ad  un  gran
numero di partecipanti, includendo non solo professionisti, ma anche studenti,
genitori ed individui che partecipassero alla formazione PAS per aumentare le
proprie abilità cognitive.
Ogni  diplomato  ad  un  seminario  PAS  riceve  un  Certificato  di  Frequenza,
emesso     dal  Feuerstein    Institute,   corrispondente     al  livello  di  formazione
raggiunto.
C’è  tuttavia  una  importante  differenza fra  chi  partecipa  a  questa  formazione
per ottenere qualche conoscenza teorica o migliorare le proprie abilità cognitive
e chi pianifica di applicare il PAS professionalmente.

I   diplomati     che    desiderano       applicare     professionalmente          il  PAS
riceveranno ora un accreditamento da parte del Feuerstein Institute in
qualità di Specialista PAS.

L’accreditamento come Specialista PAS è essenziale per mantenere alti livelli di
qualità   nell’applicazione    del   PAS.    I  Centri    Autorizzati   alla   Formazione
(Authorized  Training  Center  – ATC)  sono  autorizzati  ad  utilizzare  nei  loro
progetti di applicazione soltanto Specialisti PAS accreditati.
Il  Feuerstein  Institute  sta  per  istituire  uno  speciale  Registro  degli  Specialisti
PAS sul suo sito web, per dare la possibilità ai potenziali clienti        di trovare uno
Specialista PAS accreditato nel proprio Paese e nella propria zona di residenza.
Gli  Specialisti  PAS    riceveranno    una   newsletter    dal  Feuerstein    Institute  e
verranno invitati a seminari di aggiornamento professionale nella propria area
di residenza.

I requisiti per l’accreditamento degli Specialisti PAS sono i seguenti:
  •     Presentazione di un rapporto di applicazione PAS, che includa la traccia di  un’applicazione del PAS per almeno 30 ore per livello di formazione (nel caso   di  formazione    a  tre   livelli) o 45   ore   per  livello  (nel  caso   di formazione    a   due   livelli). La traccia   deve   includere   la  tabella  delle  applicazioni  PAS,  gli  schemi  delle  lezioni  PAS,  campioni  di  esercizi  di bridging    e  altri  materiali    (lezioni   video,   pagine,    appunti,…)     che  documentino l’applicazione del programma (cfr. Appendice A)
  •     Impegno  ad  una  formazione  professionale  permanente,  attestata  dalla partecipazione ai seminari annuali per Specialisti PAS nella propria area  di residenza
  •     Pagamento del costo dell’accreditamento come Specialista (attualmente 90,00$), a copertura dei costi per l’esame del rapporto, per l’attestazione   di qualità e del diploma
  •      Il rapporto di applicazione deve venir inviato al Feuerstein Institute via mail a: sr@icelp.org.il
Alla  ricezione  del  rapporto  di  applicazione  il  Feuerstein  Institute  rilascerà  il
Diploma di Specialista PAS al candidato e inserirà il suo nome nel registro
degli Specialisti. 

Per ulteriori informazioni riguardo a corsi di formazione sul Programma di Arrichimento Strumentale potete inviarmi una mail al seguente indirizzo: m.boninelli@unive.it 

sabato 3 dicembre 2011

Il sostegno è un caos calmo ed io non cambio mestiere

Rimini, 20 novembre 2001
Convegno Internazionale
“La Qualità dell’integrazione scolastica e sociale”

 Il sostegno è un caos calmo. E io non cambio mestiere.
di carloscataglini

Il sostegno è un caos calmo. A volte nemmeno troppo calmo. Io comunque non cambio mestiere.
Non cambio mestiere perché il caos è fatica, dargli una forma e una organizzazione è fatica. E dopo tutta questa fatica io non cambio mestiere.
Non cambio perché sono convinto del fatto che sia meglio affrontare e risolvere i problemi, piuttosto che cancellarli con un colpo di spugna. Meglio non buttare via trent’anni di esperienze, competenze, emozioni e fatiche.
Io non cambio mestiere per Luca e Roberto a cui credo di aver insegnato tanto. Per Martina ed Erika a cui credo di non aver insegnato niente. Per Donato che mi ha insegnato tutto: specialmente che il tempo non va sprecato, e che se ne resta poco è un dovere viverlo bene, magari divertendosi e sorridendo il più possibile.
Io non cambio mestiere per Luisa, la prof di  Educazione Artistica, che una volta mi ha detto. “Quando Luca sbava io non ce la faccio, mi viene da vomitare. Non ce la faccio proprio a tenerlo in classe”. Perché la prof Luisa è mille volte meglio di quelli che ti dicono che va tutto bene, dei muri di gomma che non ti stanno a sentire, che ti dicono “Fai tu, che sei l’esperto. Come fai, fai bene”. Per la prof Luisa che mi ha aperto la porta delle sue paure, delle sue emozioni. E che poi ha imparato, da sola e senza che le spiegassi niente, ad abbracciare Luca e a bagnarsi la maglia con la sua saliva.
Non cambio mestiere perché il sostegno è come il rugby, un gioco di contatto. Fianco a fianco, gomito a gomito, occhi negli occhi. Ma non solo in due, tutta la squadra. Con compagni di classe e colleghi insegnanti. La meta è avanti e bisogna avanzare insieme, rimanendo vicini e facendosi sostegno a vicenda, tutti. Non si gioca a rugby da lontano, senza contatto. Non si fa sostegno da lontano, senza contatto.
Per Lucia, Massimo e Gianni. Maestri di scuola, maestri sempre.
Non cambio mestiere per tutte le volte che ho pensato che tanto era inutile, che mi sono sentito inutile. Che mi sono sentito frustrato e poco considerato. Che ho spiegato cento volte la stessa cosa, che ho ricominciato a rispiegarla da capo.
Non cambio mestiere perché poi è impagabile il momento in cui nasce un’idea, in cui ti accorgi che l’idea funziona, che un obiettivo è raggiunto. E ti senti utile, realizzato, considerato.
Non cambio per tutte le volte che ho avuto difficoltà ad aprire la porta ed entrare in classe. Per tutte le volte che poi ho aperto la porta e sono entrato in classe.
Perché la classe è la mia vita. E io di mestiere faccio l’insegnante, non il supervisore. Se non sto con i colleghi e con i ragazzi come faccio a dare indicazioni? Io non lo so fare da dietro una  scrivania.
Non so fare il supervisore e non lo voglio fare. Non cambio mestiere.
Non cambio perché credo sia realizzabile la  vera integrazione e l’inclusione di tutti gli alunni nelle attività comuni. Perché credo sia realizzabile la piena collaborazione tra docenti curricolari e di sostegno in un progetto comune.
E, ogni tanto, si risente in giro: “Superare la figura dell’insegnante di sostegno!”
E, invece, credo sia necessario valorizzarla questa figura, magari rivedendone competenze e profilo. Rinnovare la figura dell’insegnante di sostegno con una proposta partecipata, veramente partecipata a partire dalla base. Da noi. Rispondiamo a una proposta che prevede il superamento della figura dell’insegnante di sostegno con un’altra proposta, la nostra. Discutiamone in rete. Già dai prossimi giorni. Su face book c’è il gruppo “Insegnanti di sostegno”, iniziamo da là!
Non cambio perché i veri C.R.I., i Centri Risorse Integrazione, devono essere le scuole stesse e non enti esterni con poteri speciali che non conoscono, non possono conoscere, la quotidianità, l’operatività, i bisogni, le esigenze, le dinamiche emotive, sociali e didattiche di ogni singola scuola, di ogni singola classe, di ogni singolo alunno.
Non cambio mestiere perché voglio vedere il giorno in cui la presa in carico dei problemi nell’integrazione scolastica sarà veramente condivisa da tutti coloro che nella scuola lavorano.
Per vedere il giorno in cui tutti i dirigenti scolastici prenderanno in carico il problema, credendo veramente che la costituzione e la vita del GLH d’istituto sia importante come la formazione delle classi, come gli scrutini, come la convocazione della riunione del collegio dei docenti per l’adozione dei libri di testo.
Non cambio mestiere perché aspetto il giorno in cui i genitori dei ragazzi disabili non ci chiederanno più di tenere i loro figli a scuola fino a trent’anni. Perché fuori dalla porta di scuola non c’è nulla per i loro figli, perché solo la scuola pubblica, così com’è oggi, tra errori e successi, la porta non la chiude mai.
E voglio vedere il giorno in cui qualcuno verrà a chiedere per il proprio figlio meno ore di sostegno. Che magari faccia anche ricorso per averne di meno. Perché questo significherebbe che le cose funzionano, che la scuola è diventata veramente accogliente.
Non cambio mestiere perché innovare non significa demolire. Cos’è che non va? L’eccessiva delega all’insegnante di sostegno, la scarsa formazione dei curricolari in tema di integrazione, la mancanza di una valutazione dei processi integrativi, la mancanza di documentazione e di circolarità delle esperienze e delle buone prassi. Sono solo alcune delle cose che non vanno. Per ciascuna mi viene in mente una soluzione, anche più di una. Basta volerlo, volerlo veramente. Per nessuna di esse, l’abolizione della figura dell’insegnante di sostegno mi sembra una buona soluzione.
Non cambio mestiere perché non so farne un altro. Non so fare nient’altro che non sia stare in classe, vedere, toccare, ascoltare la classe. Non so stare senza l’odore della classe. Odore di sudore dopo l’ora di ginnastica o durante il compito di matematica. Odore di gomme americane masticate di nascosto e attaccate sotto al banco. Odore di scarpe di gomma e del profumo della prof d’inglese.
Il sostegno è un caos calmo e io non cambio mestiere. Perché quello dell’insegnante di sostegno è un mestiere che amo, ancora oggi dopo vent’anni. E non si tratta di un amore cieco, no. Lo amo a ragion veduta, perché credo in lui, perché lo conosco veramente. Perché, anche se spesso non mi sento adeguato, e forse a volte proprio non lo sono, è un mestiere che mi dà la possibilità di migliorare, di farcela, di crescere. Ogni scuola è diversa, ogni classe, ogni alunno, ogni collega, ogni incontro sono diversi. Ogni giorno è diverso. E ogni giorno si impara. Come si fa a non amare un mestiere così?
Il sostegno è un caos calmo e io non cambio mestiere. Per quell’amico che ha scritto per me: “Voglio essere il vento che spinge un po’ più lontano le sue idee”. Perché, è proprio vero, un’idea ha bisogno di vento per andare lontano. Allora costruiamola questa idea, costruiamola insieme, e diamole il vento necessario per spingerla lontano, per innovare sul serio.
Il sostegno è un caos calmo. E io ho proprio deciso: non cambierò mestiere. Mai!

carloscataglini, 2011

Giornata Internazionale della Disabilità

MILANO - Sabato 3 dicembre si celebra la giornata internazionale della disabilità. L’attrice Antonella Ferrari ha accettato di rispondere a domande non politicamente corrette sulla disabilità. Fuori da ogni celebrazione e retorica.
Ecco la giornata internazionale dei disabili 2011
«Che palle! È l’unico giorno in cui diverse persone si ricordano di te…»
I cosidetti normodotati quel giorno non devono…«Guardarci con sguardo pietistico. Evitare di telefonarci».
Se domani incontrasse Mario Monti, in tre minuti
di udienza quali tre cose gli direbbe?
«Aprire il portafoglio ai ricconi. Amministrare bene le risorse per l’assistenza. Rendere operativa concretamente la dichiarazione Onu dei diritti delle persone con disabilità».
Un comportamento sgradito da parte dei normodotati «Soprattutto se stai sulla carrozzina e hai la testa alla portata delle loro mani, è irritante la carezza stile cagnolino».
Un comportamento buffo
«Non dondolate chi sta in carrozzina, ad esempio, quando siete fermi a un semaforo. Non dovete addormentarlo».
Auto senza autorizzazione nel parcheggio riservato
ai disabili, cosa fa?

«Mi …. come una iena. Se c’è mio marito, è lui che cerca l’autista. Io cerco il chiodo per rigargli l’auto. Per via della mia dannata educazione non riesco. Per il momento…».
Lei è una persona che chiede aiuto?
«Cerco di fare da sola. A volte troppo. E poi quando una persona disabile è in difficoltà, voi normodotati potreste pure arrivarci da soli, senza chiedere: hai bisogno?».
Un bambino la fissa, che cosa fa?
«Se è un ragazzino gli dico che sono troppo vecchia per lui. Quando succede è perché al bambino nessuno gli ha spiegato cos’è la disabilità. Guarda in maniera indiscreta perché, spesso, anche i suoi genitori lo fanno. Sono abituata agli sguardi sulla mia disabilità. Qualche anno fa al mare, per entrare in acqua, gli amici mi dovevano prendere in braccio. Alla gente che osservava curiosa, rivolgevamo l’invito ad acquistare il biglietto per lo spettacolo: "Intero per adulti, ridotto bambini e anziani".
Che cosa non può fare?
«Non è che non posso, non vogliono. Non vogliono farmi condurre un programma tv».
Zanardi, allora?
«Zanardi è Zanardi».
La disabilità e il lavoro
«Una lotta. Nel campo dello spettacolo, poi, vedi lavorare cani e porci, c’è più apparenza che sostanza. In tutti i settori del lavoro e nella maggior parte dei casi, il disabile è ancora visto come persona che può fare al massimo il centralista».
La disabilità e lo sport
«Una salvezza. Anche per me. Ti carica. Ti fa sentire bene. Prima della sclerosi facevo solo danza perché temevo di farmi male alle gambe. Ah quando si dice il destino! Adesso, scio, vado in barca. Proverò la handbike. Come vorrei, però, fare qualche attività più pesante per smaltire i chili che metto su a forza di cortisone».
La disabilità e la femminilità
«Fondamentale. In spiaggia, ricevo degli “apprezzamenti” del tipo: zoppica un po’, ma c’ha un bel lato b. Quando ero sulla carrozzina portavo tacchi a spillo galattici. Anche ora, in trasmissione vado con scarpe comode, sul divano me le cambio e metto tacco 12».
La disabilità e il sesso
«E’ un binomio praticato. E non è detto che lo facciamo peggio. La persona con disabilità non è asessuata. Nella soap Centovetrine, tutti avevano recitato una storia d’amore e di sesso. Io no. Allora ho insistito e alla fine l’ho avuta anch’io. Il programma era visto da moltissime persone, non potevo perdere l’occasione per mandare un messaggio: siamo n o r m a l i ».
Malata o disabile?
«Mi sento donna».
Non è famosa come Pistorius. Perché?
«Non ho avuto il suo stesso tempo da dedicare al mio sogno. Perché dovevo lavorare tutti i giorni per vivere la quotidianità di una vita normale fatta di mutuo e bollette da pagare… Sono cresciuta a Bresso, in provincia di Milano, mia madre casalinga e mio padre perito industriale».
In maniera elegante sta dicendo che i soldi fanno la differenza?
«Sì. Poca ipocrisia. Il mio amico Giovanni non può comprarsi la protesi per camminare che ha Pistorius che costano decine di migliaia di euro. E' costretto a usare quella della mutua, perchè altro non può permettersi. Soffrirà come un cane. E non solo per il dolore fisico».
Tutte le volte che termina un’intervista su questi temi, fra se e se dice…. «Ne ho piene le scatole. Basta complimenti fine a se stessi. Vorrei essere riconosciuta nella mia professionalità. Come tutti. Com’è normale che sia».
tratto da corriere.it di Carmen Morrone.

mercoledì 30 novembre 2011

Imparare ad imparare.Percorso introduttivo sul Metodo Feuerstein

Carissimi 
ho il piacere di comunicarvi l'inizio del Percorso introduttivo online sul Metodo Feuerstein organizzato dal Centro Studi Erickson. 

Il percorso online si rivolge a insegnanti, pedagogisti, psicologi, educatori, formatori e ha come obiettivo quello di focalizzarsi sulle funzioni e sulle abilità degli studenti perché siano sempre più consapevoli dei processi, delle strategie più efficaci per sviluppare e raggiungere gli obiettivi del loro apprendimento.

Punto di partenza di questo percorso è la teoria del Prof.re Reuven Feuerstein, psicologo Israeliano che considera l’intelligenza non come una serie di “tratti” ereditati geneticamente, immutabili e responsabili del comportamento caratteristico di un individuo, ma come la “propensione dell’organismo a modificarsi, nella sua struttura cognitiva, in risposta al bisogno di adattarsi a nuovi stimoli, di origine interna o esterna che siano”(Feuerstein, 1998)

Gli argomenti che verranno trattati sono:

Modulo 1: Verso un nuova educazione cognitiva
Obiettivo: introduzione al Metodo Feuerstein. Concetti chiave e riferimenti teorici.
Contenuti: lo sviluppo cognitivo secondo Jean Piaget; genesi e sviluppo del Linguaggio di Vygostkij; lo sviluppo intellettivo secondo il modello Bruner; la modificabilità cognitiva strutturale e i sistemi applicativi di Reuven Feuerstein.

Modulo 2: Problem solving e funzionamento cognitivo
Obiettivo: Identificazione delle funzioni cognitive.
Contenuti: modello dell’atto mentale; le funzioni cognitive carenti cosa sono e come riconoscerle.

Modulo 3: L’esperienza di apprendimento mediato
Obiettivi: presentazione di criteri di Mediazione.
Contenuti: teoria dell’esperienza di apprendimento Mediato; il mediatore e i criteri di mediazione; la mancanza di esperienza di apprendimento mediato nella scuola come causa dell’insuccesso scolastico.

Modulo 4: La carta cognitiva uno strumento per la creazione di una didattica inclusiva
Obiettivi: presentazione della Carta Cognitiva.
Contenuti: utilizzo dei sette parametri della Carta Cognitiva per la realizzazione di una lezione didattica.

Tutor: Maria Luisa BoninelliFormatrice accreditata presso il Feuerstein Institute di Gerusalemme,  in qualità di Formatore Associato (ATA – Associate Trainer Agreement)

Per informazioni:
Centro Studi Erickson
Via del Pioppeto 24, Fraz. Gardolo - 38121 Trento
Tel. 0461 950747- Fax 0461 956733
E-mail: formazione@erickson.it

http://www.erickson.it/Formazione/Pagine/Corsi-online-settembre---dicembre-2011.aspx

Utilizzo del modello ICF nella progettazione a scuola

Carissimi 
sono lieta di comunicarvi che terrò una formazione a Perugia su Utilizzo del modello ICF nella progettazione a scuola. 
Il corso organizzato dal Centro Studi Erickson si terrà nei giorni 1 e 2 Dicembre presso IPSIA “Cavour-Marconi”
Durante l'attività formativa i docenti avranno modo di sperimentare e sperimentarsi con questo nuovo modello per creare una didattica inclusiva dove tutti diventano al tempo stesso responsabili e protagonisti del progetto di vita dell'alunno diversamente abile. 
Per ulteriori informazioni sulla tematica proposta potete contattarmi al seguente indirizzo mail: m.boninelli@unive.it.

domenica 27 novembre 2011

Scuola, bambini: l’attenzione e il comportamento impulsivo

Quando un bambino non riesce a stare fermo e a concentrarsi e non segue le indicazioni dei genitori e degli insegnanti;
quando il suo comportamento sembra spinto da una macchinetta inesauribile;
quando non riesce a giocare in modo sereno e coinvolgente nonostante i buoni propositi e le continue promesse, allora dobbiamo intervenire per dargli seriamente una mano.

Spesso alla base di questi disturbi ci sono problematiche relazionali e atteggiamenti genitoriali ma anche l’insegnante può fare molto.
Gli studi sul concetto di “attaccamento” e di “base sicura” ci possono dare una mano.
In questa serie di articoli approfondiremo alcune nozioni e riferiremo degli studi che hanno fatto spiegato l’origine di certi comportamenti.
Il concetto di una base personale sicura da cui un bambino, un adolescente, o un adulto parte per esplorare e a cui ritorna di tanto in tanto, è un concetto cruciale per capire come una persona
emotivamente stabile si sviluppi e funzioni per tutta la vita.
Gli studi di Spitz sulle conseguenze della deprivazione di cure parentali nei bambini abbandonati e quelli etologici di Harlow, portarono Bowlby, fin dal 1950, a teorizzare che la base motivazionale più forte nei cuccioli dell’uomo fosse la ricerca di un valido legame affettivo con un adulto accudente per stabilire con esso un legame di attaccamento.
I bambini fin dalla nascita manifestano abilità sociali ed emotività.
Essi sono biologicamente predisposti per apprendere a riconoscere chi si prende cura di loro e per indurre tali persone a soddisfare i loro bisogni.
Il bambino è predisposto, quindi, a comportamenti di attaccamento i quali si rendono palesi in situazioni di emergenza come la sofferenza, la fatica e qualunque cosa che lo impaurisca, e anche dal fatto che la madre sia o appaia inaccessibile.
E’ stata studiata la qualità della risposta della madre ai segnali affettivi che provengono dal figlio nelle situazioni di emergenza.
Ella può non riuscire a riconoscere l’angoscia del figlio in tali situazioni, vuoi per cause esterne che per cause interne (malattia mentale).
Può anche solo riconoscere nel bambino una generica sofferenza ma non essere in grado di individuarne la qualità e non riuscire a dare una risposta adeguata, cioè empatica, in grado di sintonizzarsi sulle sue esigenze.
In questi casi, cioè quando l’equilibrio dell’esperienza del bambino è sbilanciato dalla parte del dispiacere per l’incapacità della madre di riconoscere le determinanti contestuali o fisiche della tensione o per l’incapacità di rispondere agli affetti negativi che sono stati stimolati, allora l’angoscia e la rabbia persistono.
Le scoperte di M. Ainsworth suggeriscono che le madri che rispondono appropriatamente e prontamente ai segnali dei loro figli hanno bambini che sperimentano una modesta ansia rispetto alla disponibilità della madre alla protezione e al conforto.
Al contrario, l’insensibilità materna precoce sembra portare ad una preoccupazione nei confronti della presenza o ad un suo evidente rifiuto quando viene sperimentato il bisogno di attaccamento.
Sono state individuate tre tipologie di attaccamento: “sicuro”, “ansioso” ed “evitante” nei bambini piccoli in relazione al rapporto stabilito con la figura di accudimento – caregiver per gli anglosassoni.
Una prima conclusione per adesso è questa.
Il legame di attaccamento nasce da un istinto che agisce in tutti gli esseri umani e che tende a ricercare la vicinanza di un adulto per richiederne cura, attenzione e protezione, soprattutto nei momenti di bisogno.
Si comprende quanto questo legame sia importante nella scuola in particolare con bambini che manifestano problemi di apprendimento e scarso adattamento.
a cura del dott. Mancino
Psicologo

Autismo, una scoperta italiana "L'effetto della terapia sarà misurabile"

ROMA - Per i non addetti ai lavori autismo è sinonimo di buco nero, patologia incomprensibile per eccellenza. Anni di studi hanno associato il disturbo che impedisce di relazionarsi con l'esterno alle cause più svariate, fino a dire che la colpa è dei genitori, di quella "madre frigorifero" che il figlio l'ha amato poco o male. Oggi la teoria psicologica è stata quasi del tutto accantonata e la scienza concorda sul fatto che l'autismo sia una malattia neurologica. Ma i dubbi e le divergenze sulle strategie di intervento sono ancora molti.

Una ricerca italiana appena pubblicata sul "Journal of Autism and Developmental Disorders" mostra che sarà possibile misurare gli effetti delle terapie riabilitative esaminando le connessioni della sostanza bianca del cervello e verificando di volta in volta quale terapia sia più efficace. Alla scoperta si è arrivati attraverso la risonanza magnetica con una tecnica d'avanguardia, la DTI (Diffusion Tensor Imaging), che permette di visualizzare le connessioni tra le aree funzionali cerebrali e di osservare le modificazioni che avvengono a livello di fibre neuronali nel corso di ogni singola terapia.

La ricerca di Francesca Benassi del Centro studi in Neuroriabilitazione CNAPP e Leonardo Emberti Gialloreti dell'Università di Roma Tor Vergata è partita infatti dal presupposto, già dimostrato, che nell'autismo ad essere danneggiate non sono tanto le singole aree del cervello, bensì i legami tra queste. Ed è necessario osservare queste alterazioni per correggere il disturbo, lentamente, con terapie che possono durare anche tutta la vita.


Gli autori della ricerca spiegano che nel prossimo futuro potrebbe diventare possibile monitorare e misurare l'efficacia degli interventi riabilitativi osservando le modificazioni nella struttura delle connessioni fra aree cerebrali. Si parla di miglioramenti, non ancora di guarigione. Nessuna falsa speranza, dunque: la strada è lunga e ancora tutta da sperimentare, ma potrebbe essere quella giusta.


"Per anni - spiega la Benassi - molti sono intervenuti, e alcuni ancora continuano a farlo, su pazienti autistici con terapie psicologiche, facendo danni enormi. Il nostro approccio è radicalmente diverso ed ha già prodotto i primi, incoraggianti risultati".

"Per 12 anni - spiega Emberti Gialloreti, del Dipartimento di sanità pubblica e biologia cellulare - abbiamo seguito un ragazzo autistico con gravi problemi di adattamento all'ambiente ed anomalie della percezione uditiva e visiva. Il paziente, oggi diciottenne, che all'inizio non riusciva a stare in un luogo dove ci fosse anche solo una voce o un rumore, oggi è in grado di stare in classe con i compagni e di comunicare e sviluppare la sua autonomia".


Monitorando le modificazioni delle connessioni cerebrali prodotte dalle varie terapie, i ricercatori hanno anche seguito persone autistiche cosiddette "a basso funzionamento", che con il tempo hanno ricominciato a comunicare, a parlare, a relazionarsi con gli altri. Piccole conquiste che per una famiglia hanno un valore immenso e che risarciscono dal senso di colpa che spesso gli stessi genitori sono stati costretti a sopportare, convinti di essere corresponsabili della patologia del figlio. "Se inserito nel contesto sbagliato - continua il ricercatore - la persona con autismo sicuramente peggiora. Ma gli effetti negativi si producono su una situazione che a monte è già patologica. E' una malattia che ha origine genetica, anzi multigenica, perché non esiste un singolo 'gene' dell'autismo".

Il disturbo colpisce prevalentemente i maschi (il rapporto con le femmine è di quattro a uno) e questo è solo uno dei tanti aspetti ancora oggetto di studio. Altro elemento misterioso, e per certi versi affascinante, è la genialità, che interessa una persona con autismo su dieci: c'è chi ha capacità mnemoniche impressionanti, chi elabora i dati come un computer e chi calcola i numeri primi fino a 20 cifre. In questo caso, però, una spiegazione, se pur parziale, c'è: "Gli autistici - spiega Emberti Gialloreti - nelle primissime fasi dello sviluppo tendono ad avere un cervello più grande, perché in loro le connessioni tra aree cerebrali sono appunto fuori controllo. Poi, come accade a tutti noi, il cervello cerca di riassestarsi da solo e pota le connessioni in eccesso. Solo che, nel caso dell'autistico, ne taglia troppe. Questa è probabilmente una delle cause del disturbo". Il surplus di connessioni si trasforma quindi in deficit, ma questo passaggio talvolta lascia delle tracce dietro di sé, dei legami "speciali" tra aree cerebrali, che possono portare appunto alla genialità.

Più in generale, le persone con autismo tendono a strutturare comportamenti stereotipati. Per questo, per molti anni si sono utilizzati metodi educativi che cercavano di fare adattare la persona all'ambiente attraverso la ripetizione automatizzata delle loro azioni. Il team di Cnapp e Tor Vergata adotta invece la strategia opposta, intervenendo sui legami cerebrali alterati e cercando di far fare al paziente ciò che gli riesce più difficile, cioè allenarsi a compiere azioni volontarie, intenzionali e non automatiche. E' questo che, probabilmente, modifica le connessioni cerebrali. Come ricorda Emberti Gialloreti, non bisogna parlare di autismo ma di "autismi", perché ogni cervello che soffre del disturbo è caratterizzato da connessioni proprie, che portano a manifestazioni patologiche diverse. Uno, nessuno e centomila casi, dunque: ciascuno, questa è la sfida e la speranza, destinato a incontrare la propria terapia.
Tratto da: Repubblica.it 
per ulteriori informazioni sull'utilizzo del Metodo Feuerstein con bambini e/o ragazzi autistici potete inviarmi una mail al seguente indirizzo: m.boninelli@unive.it  

I "sapori diversi": aspiranti cuochi.

ROMA - La diversità, talvolta, ha un gusto amaro. La solidarietà ha, spesso, un sapore dolce. Ma i sapori che una decina di ragazzi proveranno nei prossimi mesi sono qualcosa di più vario e concreto: sono i sapori della cucina. Si avvia infatti ad una confortante conclusione, a Roma, la prima edizione di «Sapori Diversi», il programma della Comunità di Sant'Egidio che favorisce la formazione e l'inserimento lavorativo dei disabili grazie alla collaborazione di alcuni noti chef della Capitale. Sono ben 12, quest'anno, i giovani portatori di handicap che hanno trovato un impiego in locali romani: 8 presso altrettante cucine di cuochi rinomati, 2 alla Trattoria degli Amici di Sant'Egidio e altri 2 in altri ristoranti.
Un cameriere della Trattoria degli AmiciCOMMIS DI SALA E CUCINA - Sapori Diversi - progetto che Sant'Egidio ha realizzato (unitamente al corso per commis di sala e di cucina) insieme alla Laurenzi Consulting e con il sostegno di Fondazione Telecom Italia - ha realizzato un sogno per questi ragazzi: la possibilità concreta di avere un lavoro nel settore della ristorazione. Ad accoglierli e aiutarli nella nuova prova sul campo, ci saranno cuochi come: Cristina Bowerman (Glass Hostaria), Davide Cianetti (OS Club), Saverio Crescente (Grano), Riccardo Di Giacinto (All’Oro), Dany Di Giuseppe (Porto Fluviale), Alessandro Roscioli (Roscioli), Angelo Troiani (Il Convivio) e Leonardo Vignoli (Da Cesare).
GLI INVISIBILI IN CASA - «I disabili sono i nostri invisibili - sottolinea Mario Marazziti, portavoce della Comunità di Sant’Egidio - nascosti in casa. Liberarli significa mostrare agli "intelligenti" quello che non vedono e far avere a tutti un messaggio di vita attraverso la dignità del lavoro. Far diventare visibili gli invisibili». Anche perchè il più delle volte, sul lavoro, questi giovani sono più bravi impegnati di coloro che comunemente si considerano «normali». Loro, i nuovi protagonisti diversi, sono al settimo cielo. Federica, 36 anni, sorride alla telecamera e ammette: «Ho imparato a fare il caffè, a servire ai tavoli e ora sono capace di trattare con i clienti». Per 14 mesi hanno seguito i corsi tenuti da specialisti del settore, guadagnandosi sul campo la possibilità di lavorare a contatto con chef come Troiani, la Bowerman e Di Giacinto.
Clienti alla Trattoria degli amici in Trastevere VOGLIA DI FARE E CURIOSITA' - Niente ferma la curiosità e la voglia di fare: così, come Federica, altri 23 giovani disabili hanno imparato un mestiere grazie al progetto «Cucina inclusiva» della Comunità di Sant’Egidio. Sono cuochi infaticabili e lo dimostreranno quando entreranno nello staff dei vari chef li hanno accolti. Il corso – e l’annessa opportunità lavorativa – è una iniziativa inedita in Italia: «La prima scuola riservata a giovani disabili» spiega Marazziti. L’obiettivo di insegnare ai ragazzi come cavarsela in cucina, o in sala, nasce dall’esperienza della Trattoria de gli Amici, aperta a Trastevere, che impiega oggi tredici persone diversamente abili.
A lezione in cucina IMPEGNO DI PROVINCIA E REGIONE - «C’è un impegno della Regione Lazio e della Provincia di Roma per aprire un altro ristorante – annuncia Marazziti – per studiarne la fattibilità, e lanciare una scuola di cucina». Conferma l’assessore regionale al Lavoro, Mariella Zezza: «Abbiamo appuntamento la prossima settimana per replicare questa esperienza». Quando si dice, la genesi di una buona idea. 
tratto da: corriere.it 

domenica 20 novembre 2011

Strumento Valutazione dinamica



Verso la fine degli anni ’40, quando Feuerstein si trovò di fronte al grande problema dei danni psicologici subiti dai bimbi usciti dall’Olocausto, i test di valutazione psicometrica tradizionalmente utilizzati dagli psicologi per la valutazione cognitiva non  sembravano, a suo giudizio, perfettamente adeguati. Molti di questi bambini, come anche quelli che erano stati sradicati dalla loro cultura d’origine per trasferirsi in Israele, apparivano mentalmente ritardati, al di sotto di un livello accettabile d’intelligenza. Molti di essi erano considerati totalmente incapaci di affrontare gli studi più elevati e non si vedevano possibilità di integrazione sociale per essi. I risultati dei test psicometrici posizionavano questi bambini al di sotto della soglia minima di funzionamento cognitivo adeguato e si considerava quasi impossibile la loro capacità di adattamento ad una società destinata a svilupparsi rapidamente come quella israeliana.
Feuerstein si trovò di fronte ad un grande dilemma quando venne consultato per decidere il destino di questi giovani, il tipo di obiettivi da proporre loro e l’educazione che doveva essere adatta per loro. L’utilizzo dei Q.I. e i risultati dei test psicometrici che si basavano su dati statistici aveva convinto molti politici ed educatori a basare le scelte educative per questi ragazzi su un atteggiamento passivo-accettante. Si cercarono quindi di costruire per essi ambienti educativi speciali che evitavano una caparbia ricerca di sviluppo del funzionamento mentale in questi soggetti, proponendo loro attività a loro adatte in base alle risposte fornite dalle valutazioni psicometriche.
Feuerstein, al contrario, iniziò a pensare che i test psicometrici non erano adeguati per indagare realmente il funzionamento cognitivo di una persona.
Attualmente l’LPAD viene utilizzato come strumento di valutazione dinamica alternativo ai test statici psicometrici, sia nella clinica che nella valutazione del personale aziendale. Alla base di questa scelta vi è la necessità di avere un quadro maggiormente realistico della propensione alla modificabilità e al superamento dei propri limiti da parte della persona, o delle persone, che vengono valutate (LPAD individuale o di gruppo).
Il suo nome originario, ossia Valutazione Dinamica del Potenziale di Apprendimento: Learning Potential Assessment Device è stato cambiato in Valutazione Dinamica della Propensione all’Apprendimento: Learning Propensity  Assessment Device per meglio indicare l’oggetto della valutazione, ovvero la flessibilità della persona nel modificarsi, appunto la sua propensione ad imparare ad imparare.
PRINCIPALI DIFFERENZE TRA LPAD E TEST PSICOMETRICI
I test psicomterici possono essere classificati come “valutazioni normative”. Con questo termine si vuole indicare la basilare caratteristica da essi posseduta, e cioè di essere test stabili. La prestazione di un determinato individuo in questi test è confrontata con la prestazione media ottenuta da un gruppo di individui. Questa classe media diventa la norma. Si parte dal presupposto che le caratteristiche proprie di un individuo sono simili a quelle del gruppo. Le tabelle, costruite in funzione delle esigenze delle leggi statistiche, implicano che un campione rappresentativo della popolazione della regione, del paese o del mondo, sia stato scelto e suddiviso in strati secondo differenti criteri (status socio-economico della famiglia, luogo di residenza urbano e rurale, età, sesso, ecc…).
Purtroppo tali misure di valutazione cognitiva sono state all’origine di pronostici che chiudevano così bene gli individui all’interno di categorie limitative, che era possibile vedere realizzate le carenze che erano state annunciate. La maggior parte di questi test sono stati costruiti sui risultati di apprendimenti già avvenuti e non sull’osservazione diretta dei processi di apprendimento di ciascun individuo. Di conseguenza la predizione degli apprendimenti futuri non può essere che una proiezione nel futuro di dati già acquisiti. Essa non è altro che il prolungamento di processi già messi in atto. In nessun caso tale predizione può lasciare intravedere la prospettiva di opportunità di apprendimento innovative. E, più grave ancora, una valutazione normativa considera che tutti i soggetti hanno uguali opportunità di apprendimento o di prestazione.
Feuerstein criticò i test psicometrici
fondamentalmente per due caratteristiche da essi  possedute :
  • l’atmosfera scientifica e precisa che circonda i test psicometrici
  • la metodologia dei test psicometrici
A tale proposito, mosse critiche precise all’utilizzo dei test psicometrici che possono essere riassunte nei seguenti punti:
  • nei test psicometrici vi è un paradosso: il test psicometrico misura elementi della persona considerati stabili laddove la persona è, per sua natura, una realtà dinamica. Se le persone si evolvono, come possiamo misurare la stabilità in un campo in cui tutto è dinamico?
  • I test psicometrici valutano il comportamento manifesto di una persona nella fase di test e poi proiettano il suo comportamento presente nel suo futuro.
  • Molto spesso le persone conoscono le risposte ai problemi ma non i processi che portano alla soluzione dei problemi. Attuano delle performances ma non sanno come le attuano. Feuerstein ha criticato l’interesse dei test psicometrici per il prodotto (la performance) piuttosto che per il processo (ovvero come si è ottenuto il prodotto, la performance).
  • In una società dinamica come la nostra, in cui bisogna saper trovare sempre un nuovo adattamento a situazioni sempre più nuove e complesse, le persone vanno valutate secondo le prestazioni che al momento sembrano poter fornire o nella loro propensione a fornirne di nuove?
  • Come si scelgono i criteri per giudicare un fallimento o un insuccesso? Si osservano tutte le possibili motivazioni che hanno portato ad un insuccesso o si osserva solo la risposta sbagliata che la persona ha dato?
  • I test psicometrici vogliono fare dell’intelligenza qualcosa di misurabile. Ciò è una sorta di postulato della teoria sulla quale si basano i test psicometrici. Essi osservano il comportamento ma non l’intelligenza  che sta sotto il comportamento. L’intelligenza è l’insieme degli stati della persona, cioè è qualcosa di dinamico. Il test psicometrico è orientato verso il prodotto, mentre l’LPAD è orientato verso il processo. Il test psicometrico ha come obiettivo quello di selezionare e di predire il futuro di una persona per poi confrontarlo con quello di altre persone.  Tutto questo  perché per le statistiche è necessario avere un sistema stabile di previsione. E’ molto più semplice misurare che valutare, anche perché chi valuta potrebbe commettere più errori di chi misura.
  • Un’ultima critica è sull’efficienza. Non c’è alcun test dell’LPAD limitato dal tempo. Il tempo non è una componente essenziale dell’LPAD, per quanto comunque si osservano i tempi di completamento dei compiti dati durante i test. Uno degli obiettivi dell’LPAD è cambiare l’efficienza delle persone attraverso la mediazione dei valutatori LPAD.
Molti elementi dell’LPAD provengono dai test psicometrici, ma sono stati trasformati secondo l’obiettivo dell’LPAD di modificare l’efficienza. Ad es. il fallimento in un test può essere causato da una bassa motivazione al compito. L’efficienza nel compito quindi può essere innalzata semplicemente fornendo alla persona motivazione al compito. L’efficienza può essere quindi insegnata e mediata.
In conclusione, possiamo dire che l’LPAD cerca il picco nelle prestazioni di una persona. Meglio ancora si può dire che l’LPAD va alla ricerca della connessione tra il punto di massima e il punto di minima prestazione. La principale rivoluzione innescata dall’LPAD è la ricerca del processo mentale utile per svolgere determinati compiti. E’ un analisi della metacognizione di un soggetto, ovvero della sua capacità e consapevolezza di elaborare processi (il know-how) di soluzione di compiti.
In alternativa al movimento psicometrico Feuerstein propone un nuovo punto di vista: la modificabilità dell’essere umano. L’essere umano è considerato un sistema aperto, all’interno del quale si può modificare la struttura cognitiva facendo leva sulle sue performances metacognitive.
Tre sono i cardini dell’LPAD:
  • La parte può cambiare il tutto
  • La struttura cognitiva presente nella persona può ampliarsi
  • Il comportamento di una persona può essere tenuto sotto controllo
La struttura cognitiva è in continuo cambiamento. L’obiettivo dell’LPAD è focalizzare questa possibilità di cambiamento e dimostrarne l’esistenza.
 Valutazione standard     (psicometrica)  Valutazione dinamica
 cerca livelli e progressi
 nello sviluppo mentale
 cerca caratteristiche e
 processi dello sviluppo
 mentale
 fa confronti con gruppi
 normativi di pari
 confronta le prestazioni
 personali dell’individuo in
 tempi diversi e in diverse
 condizioni
 misura livelli manifesti di
 funzionamento presente
 valuta indicazioni di
 propensione
 all’apprendimento e alla
 modificabilità
 classifica attraverso
 graduatorie e
 comportamenti normativi
 ricerca l’indice di
 modificabilità basato su
 campioni di cambiamento
 prodotto durante la
 valutazione
 predice prestazioni future
 basate su caratteristiche
 fisse e permanenti
 cerca la propensione e le
 condizioni per il
 cambiamento strutturale
CONTENUTI DEI TEST LPAD
Schede di argomento vario che offrono la possibilità di:
  • manipolare il contenuto, la modalità, le operazioni cognitive, i livelli di complessità, di astrazione e di efficacia come variabili;
  • mettere in evidenza le abilità spontaneamente messe in atto e quelle sviluppate attraverso la mediazione del mediatore
MODALITA’ D’USO DELL’LPAD
In gruppo o individuale , a seconda della profondità  dell’analisi che si vuole ottenere.
La valutazione è strutturata su diversi tipi di schede in tre fasi successive:
  1. il pre-test, o fase di attività spontanea sul compito
  2. la mediazione del valutatore, o interazione di esperienza mediata sul compito proposto
  3. il post-test, cioè la valutazione di quanto la mediazione ha innescato processi di modificabilità rispetto all’attività spontanea sul compito.                                                                               
  4. Tratto da www.sviluppocognitivo.it 

La Stampa: articolo sul Convegno di Rimini organizzato dal Centro Studi Ericskon.

È l’appuntamento più importante per chi si occupa di educazione in Italia. Prende il via oggi, al Palacongressi di Rimini, l’ottava edizione del Convegno internazionale: “La Qualità dell’integrazione scolastica e sociale”, promossa dal Cento Studi Erickson di Trento, ente accreditato per la formazione del personale della scuola. L’evento, sotto la direzione scientifica di Andrea Canevaro (Università di Bologna) e Dario Ianes (Università di Bolzano e co-fondatore del Centro Studi Erickson) prevede l’intervento di più di duecento relatori fra cui Tullio De Mauro e Michela Marzano (Direttrice del Dipartimento di scienze sociali, Université Paris Descartes, Sorbonne) e migliaia di partecipanti.

“Resistere o rinnovare?” è la domanda chiave che attraversa il Convegno, a cui i vari relatori saranno chiamati a dare delle risposte. Come spiegano Andrea Canevaro e Dario Ianes nel documento di presentazione del Convegno, l’edizione 2011 ha anche l’ambizione di «segnare l’inizio di una stagione di riflessione e di impegno sotto la bandiera dell’innovazione profonda e non sotto quella della resistenza continua allo stillicidio quotidiano di una politica governativa fatta di limitazioni e di tagli. Da Rimini si può uscire con una prospettiva drammaticamente innovativa, che scuota dalle fondamenta il nostro modello italiano di fare integrazione scolastica».

Il convegno è stato preceduto da un sondaggio che chiedeva di individuare gli argomenti portanti del programma, dei diversi workshop e di segnalare l’esperto che ha maggiormente contribuito a promuovere la qualità dell’integrazione scolastica e sociale nel nostro Paese. I risultati del sondaggio hanno messo in evidenza che le tematiche “calde” proprie dell’ambito educativo-didattico e dell’inclusione scolastica riguardano soprattutto temi come i Disturbi Specifici dell’Apprendimento (dislessia, disgrafia, disortografia, discalculia e altre difficoltà in matematica), i Disturbi di attenzione e iperattività (ADHD), le nuove tecnologie per la didattica (la LIM, la classe digitale, …), l’autismo (la CAA Comunicazione Aumentativa Alternativa, il programma ABA-VB), la logopedia, il Metodo Feuerstein, la narrativa psicologicamente orientata. Si darà ampio spazio dunque a tali linee di studio e ricerca, ed anche all’integrazione sociale della persona con disabilità, oltre e dopo la scuola, nelle varie realtà educative e di vita indipendente finora realizzate.

D’altro canto, dal sondaggio è emerso che Andrea Canevaro e Mario Tortello sono considerati dagli addetti ai lavori i più significativi precursori di un sostanziale rinnovamento delle chiavi di lettura culturali e scientifiche nei confronti dell’integrazione delle persone con disabilità in Italia. La figura di Mario Tortello verrà ricordata domenica 20 nella sessione plenaria del Convegno nel corso della consegna dei premi “Mario Tortello” per le migliori tesi di laurea e di dottorato di ricerca che hanno trattato il tema dell’integrazione scolastica e sociale delle persone con Bisogni Educativi Speciali. Mario Tortello è scomparso nel 2001 mentre si recava alla redazione del quotidiano “La Stampa” dove da anni si occupava di scuola. Oltre che giornalista, era membro del comitato tecnico dell’Osservatorio Permanente sull’handicap presso il Ministero della Pubblica Istruzione e docente a contratto di Pedagogia generale presso l’Università di Torino (dal successivo anno accademico avrebbe ottenuto la cattedra di “Didattiche speciali”).

Parlando di premi, segnaliamo che il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha voluto destinare, quale premio di rappresentanza, una medaglia per l’alto valore del convegno, manifestando così il proprio consenso alle finalità perseguite dall’iniziativa.

lunedì 14 novembre 2011

Parigi, 33th International Workshop: offerta formativa


July 8-19
  • Learning Potential Assessment Device (LPAD):
Level 1 (€1,400); Level 2; LPAD-B (young children) (€1,500) 

July 8-19
  •  Instrumental Enrichment (IE):
Level I; Level 2; IE Trainers-1; IE Trainers-2 (€1,300)
  • Instrumental Enrichment Basic (IE-Basic):
IE-Basic I (young children); IE-Basic Trainers (€1,300)

July 8-13
  • Instrumental Enrichment Basic (IE-Basic):
IE-Basic 2 (young children) (€750)
  • Renewal seminar for IE Trainers (€550)
July 15-19
  • ADD-ADHD treatment via Tactile IE (€750)
Per ulteriori informazioni potete inviare una mail a sr@icelp.org.il

Parigi, 33th Workshop Internazionale: primo annuncio


33rd International Summer Institute
Headed by Professor Reuven Feuerstein
July 8-19, 2012 *** Paris, France
The Feuerstein International Summer Institute introduces educators, psychologists and other specialists to the theory and hands-on practice of Structural Cognitive Modifiability and Mediated Learning Experience, as well as the use of dynamic assessment (assessing a child’s ultimate potential rather than his/her mere current ability) and Instrumental Enrichment intervention. Practitioners will study with the world’s leading specialists of the Feuerstein method. They will leave the workshops with concrete knowledge of these methods and the ability to use them with assurance to help their students or clients. They will benefit from the experience acquired through decades of clinical work and educational observation that has shown us the exact nature and quality of the interaction between the child and the practitioner that brings about the most meaningful change.
The Feuerstein International Summer Institute has been providing exceptional training for over a quarter of a century. The Summer Institute of 2012 will enable you to follow in the footsteps of practitioners from dozens of countries who are now seeing transformative changes in the children they help.

venerdì 11 novembre 2011

Trieste, Corso Programma di Arricchimento Strumentale Primo Livello


Verrà organizzato a Trieste, dal 2 al 10 gennaio 2012, un Corso di Formazione PAS di Primo Livello.

Le formatrici saranno le dott.sse Paola Pini e Maria Luisa Boninelli, entrambe accreditate presso il Feuerstein Instute in qualità di Formatore Associato (ATA – Associate Trainer Agreement)

giovedì 10 novembre 2011

Computer con sintesi vocale e libri ad alta comprensibilità per affrontare la Dislessia.

La scuola tratta la dislessia con pochi mezzi, spesso obsoleti, anche se la L. 170/2010 prevede strumenti tecnologici innovativi

La dislessia è un disordine del linguaggio in cui la capacità di lettura è al di sotto di quanto atteso per età, intelligenza e scolarizzazione. E’ determinata da alterazioni non ancora ben note ma in parte è anche risultato di fattori ambientali.
I bambini dislessici confondono lettere dalla forma o suono simile, invertono le sillabe o le lettere, hanno difficoltà con le tabelline e le serie numeriche, le sequenze, i rapporti spazio-temporali e le abilità motorie.
La dislessia può però essere corretta: se le terapie tradizionali prevedevano stimoli  percettivi, uditivi e visivi, la più recente realtà uditiva virtuale prevede invece l’ascolto con le cuffie di suoni e voci dai toni diversi, vicini o lontani e ciò consente di percepire quanto giunge ad un orecchio e all’altro, costruendo nuovo  equilibrio.

NUOVI STRUMENTI – Il Decreto 5669/2011, attuativo della L. 170/2010 sui Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA), prevede la possibilità di registrare le lezioni, evitando di prendere appunti, o usare computer con correttore automatico e sintesi vocale. Molto spesso, però, a causa delle risorse esigue, avere questi strumenti non è affatto immediato.

LA FONT BIANCONERO – Fuori dal mondo scolastico, tuttavia, vi sono importanti novità. Alcune case editrici, come Bianconero, Sinnos e Angolo Manzoni, hanno stampato volumi ad alta leggibilità, con accorgimenti linguistici e tecnici che rendono la lettura più facile. Le pagine hanno spaziature adeguate a non far sovrapporre le righe ed il racconto è fatto di periodi  brevi e non complessi. Biancoenero ha brevettato una font, un carattere tipografico molto nitido, quindi più leggibile, lavorando sul disegno delle lettere, disponibile, gratuitamente, per le istituzioni ed i privati che la utilizzino per scopi non commerciali.

IL CONTRIBUTO DELLE ASSOCIAZIONI – Non manca il supporto delle associazioni di categoria: l’Istituto di Istruzione Superiore Olivetti  ha attivato un campus con supporto informatico; l’Associazione SOS Dislessia ha avviato il corso Ca.Sco ed offre consulenza, formazione, progetti e laboratori; la Fondazione Cannavaro Ferrara ha invece avviato una raccolta di fondi per il progetto “Albert Einstein … uno come me”.

Il progresso tecnologico, le iniziative editoriali e delle associazioni offrono possibilità crescenti per superare con successo le difficoltà degli allievi dislessici. La scuola, da parte sua, possiede ormai le norme che consentono approcci innovativi e funzionali. E’ però ormai troppo impoverita, nelle risorse economiche e di personale e molto spesso è costretta a trascurare chi necessita di percorsi specifici, lasciando ad altri  compiti primari di formazione ed istruzione.

mercoledì 9 novembre 2011

Video sulla Dislessia: Capire per Imparare

 Carissimi Lettori, 
Condivido con tutti voi, un bellissimo video creato da Rossella Grenci sulla Dislessia.

Autismo, trattementi e assistenza: ecco le nuove linee guida.

Le nuove linee guida sulla terapia dell'autismo sono state appena varate dal ministero della Salute. Ogni metodo, dai più famosi ai meno noti, è stato analizzato in modo critico. Idem per farmaci e processi educativi. Lavoro egregiamente condotto da esperti privi di interessi parrocchiali, che aiuterà ad evitare confusione, false speranze e mode del momento, privilegiando ciò che di scientificamente solido è disponibile. Il prossimo aggiornamento nel 2015.

Progressi anche nella conoscenza della malattia. Sono molti, gli autismi che la medicina comincia a definire: da quelli di persone appena un po' più bizzarre del solito ad altri che compromettono gravemente le funzioni intellettive e di relazione, variazioni geneticamente determinate, che premiano la specie ma sono pagate a caro prezzo dagli individui.

Per semplificare, è come se il genere Homo sapiens avesse vinto la competizione con le altre specie animali grazie alla possibilità di commettere errori nel formare il proprio cervello durante lo sviluppo fetale. Ci siamo concessi la possibilità di sperimentare una diversità individuale molto spinta, il cui risultato è stato premiante. Chi ha scoperto la pietra più tagliente nella caverna, insomma, era un autistico che passava il tempo a collezionare pietre ed osservarne forma e dimensione. Gli altri poi l'hanno usata come coltello o punta di lancia, riuscendo a mangiare e sopravvivere.

Per questo le variazioni genetiche autistiche, più adatte alla salvaguardia della specie, sono state trasmesse ai discendenti. Meccanismo sicuramente darwiniano. Se, per esempio, l'errore ha reso sovraffollata di neuroni l'amigdala (struttura del cervello che riceve ed elabora le sensazioni), l'individuo sarà dotato di vista, udito e tatto finissimi, ma anche di emozioni così forti da essere difficili da controllare.

Le sequenze di Dna coinvolte nell'autismo sono responsabili di varianti dell'architettura cerebrale e di molte funzioni. Sono geni spesso alterati in casi di ritardo mentale, nei disturbi di linguaggio, lettura, calcolo, nelle disgrafie e ovviamente nell'autismo. Fanno parte di quattro categorie di geni che, per semplificare, influenzano il modo con cui i neuroni colonizzano le aree cerebrali, il loro numero e posizione, i contatti, la velocità di trasmissione ecc. I cambiamenti in questi geni, che si cominciano a identificare, producono differenze nelle "minicolonne", strutture di base della corteccia cerebrale che di volta in volta "producono" poeti, fisici, filosofi, artisti eccelsi. O disadattati destinati al manicomio.

Convegni. Due quelli interessanti in questo mese. A Roma il 12 "Autismo infantile. La centralità della diagnosi precoce per un progetto terapeutico mirato". A Rimini dal 18 al 20 "La Qualità dell'integrazione scolastica e sociale", l'appuntamento più importante per chi si occupa di disabilità nella scuola e nella società italiana.
Tratto da: repubblica.it 
Per ulteriori informazioni riguardo l'autismo  e il Metodo Feuerestein potete inviarmi una mail seguente indirizzo: m.boninelli@unive.it