Rimini, 20 novembre 2001
Convegno Internazionale
“La Qualità dell’integrazione scolastica e sociale”
Il sostegno è un caos calmo. E io non cambio mestiere.
di carloscataglini
Il sostegno è un caos calmo. A volte nemmeno troppo calmo. Io comunque non cambio mestiere.
Non cambio mestiere perché il caos è fatica, dargli una forma e una organizzazione è fatica. E dopo tutta questa fatica io non cambio mestiere.
Non cambio perché sono convinto del fatto che sia meglio affrontare e risolvere i problemi, piuttosto che cancellarli con un colpo di spugna. Meglio non buttare via trent’anni di esperienze, competenze, emozioni e fatiche.
Io non cambio mestiere per Luca e Roberto a cui credo di aver insegnato tanto. Per Martina ed Erika a cui credo di non aver insegnato niente. Per Donato che mi ha insegnato tutto: specialmente che il tempo non va sprecato, e che se ne resta poco è un dovere viverlo bene, magari divertendosi e sorridendo il più possibile.
Io non cambio mestiere per Luisa, la prof di Educazione Artistica, che una volta mi ha detto. “Quando Luca sbava io non ce la faccio, mi viene da vomitare. Non ce la faccio proprio a tenerlo in classe”. Perché la prof Luisa è mille volte meglio di quelli che ti dicono che va tutto bene, dei muri di gomma che non ti stanno a sentire, che ti dicono “Fai tu, che sei l’esperto. Come fai, fai bene”. Per la prof Luisa che mi ha aperto la porta delle sue paure, delle sue emozioni. E che poi ha imparato, da sola e senza che le spiegassi niente, ad abbracciare Luca e a bagnarsi la maglia con la sua saliva.
Non cambio mestiere perché il sostegno è come il rugby, un gioco di contatto. Fianco a fianco, gomito a gomito, occhi negli occhi. Ma non solo in due, tutta la squadra. Con compagni di classe e colleghi insegnanti. La meta è avanti e bisogna avanzare insieme, rimanendo vicini e facendosi sostegno a vicenda, tutti. Non si gioca a rugby da lontano, senza contatto. Non si fa sostegno da lontano, senza contatto.
Per Lucia, Massimo e Gianni. Maestri di scuola, maestri sempre.
Non cambio mestiere per tutte le volte che ho pensato che tanto era inutile, che mi sono sentito inutile. Che mi sono sentito frustrato e poco considerato. Che ho spiegato cento volte la stessa cosa, che ho ricominciato a rispiegarla da capo.
Non cambio mestiere perché poi è impagabile il momento in cui nasce un’idea, in cui ti accorgi che l’idea funziona, che un obiettivo è raggiunto. E ti senti utile, realizzato, considerato.
Non cambio per tutte le volte che ho avuto difficoltà ad aprire la porta ed entrare in classe. Per tutte le volte che poi ho aperto la porta e sono entrato in classe.
Perché la classe è la mia vita. E io di mestiere faccio l’insegnante, non il supervisore. Se non sto con i colleghi e con i ragazzi come faccio a dare indicazioni? Io non lo so fare da dietro una scrivania.
Non so fare il supervisore e non lo voglio fare. Non cambio mestiere.
Non cambio perché credo sia realizzabile la vera integrazione e l’inclusione di tutti gli alunni nelle attività comuni. Perché credo sia realizzabile la piena collaborazione tra docenti curricolari e di sostegno in un progetto comune.
E, ogni tanto, si risente in giro: “Superare la figura dell’insegnante di sostegno!”
E, invece, credo sia necessario valorizzarla questa figura, magari rivedendone competenze e profilo. Rinnovare la figura dell’insegnante di sostegno con una proposta partecipata, veramente partecipata a partire dalla base. Da noi. Rispondiamo a una proposta che prevede il superamento della figura dell’insegnante di sostegno con un’altra proposta, la nostra. Discutiamone in rete. Già dai prossimi giorni. Su face book c’è il gruppo “Insegnanti di sostegno”, iniziamo da là!
Non cambio perché i veri C.R.I., i Centri Risorse Integrazione, devono essere le scuole stesse e non enti esterni con poteri speciali che non conoscono, non possono conoscere, la quotidianità, l’operatività, i bisogni, le esigenze, le dinamiche emotive, sociali e didattiche di ogni singola scuola, di ogni singola classe, di ogni singolo alunno.
Non cambio mestiere perché voglio vedere il giorno in cui la presa in carico dei problemi nell’integrazione scolastica sarà veramente condivisa da tutti coloro che nella scuola lavorano.
Per vedere il giorno in cui tutti i dirigenti scolastici prenderanno in carico il problema, credendo veramente che la costituzione e la vita del GLH d’istituto sia importante come la formazione delle classi, come gli scrutini, come la convocazione della riunione del collegio dei docenti per l’adozione dei libri di testo.
Non cambio mestiere perché aspetto il giorno in cui i genitori dei ragazzi disabili non ci chiederanno più di tenere i loro figli a scuola fino a trent’anni. Perché fuori dalla porta di scuola non c’è nulla per i loro figli, perché solo la scuola pubblica, così com’è oggi, tra errori e successi, la porta non la chiude mai.
E voglio vedere il giorno in cui qualcuno verrà a chiedere per il proprio figlio meno ore di sostegno. Che magari faccia anche ricorso per averne di meno. Perché questo significherebbe che le cose funzionano, che la scuola è diventata veramente accogliente.
Non cambio mestiere perché innovare non significa demolire. Cos’è che non va? L’eccessiva delega all’insegnante di sostegno, la scarsa formazione dei curricolari in tema di integrazione, la mancanza di una valutazione dei processi integrativi, la mancanza di documentazione e di circolarità delle esperienze e delle buone prassi. Sono solo alcune delle cose che non vanno. Per ciascuna mi viene in mente una soluzione, anche più di una. Basta volerlo, volerlo veramente. Per nessuna di esse, l’abolizione della figura dell’insegnante di sostegno mi sembra una buona soluzione.
Non cambio mestiere perché non so farne un altro. Non so fare nient’altro che non sia stare in classe, vedere, toccare, ascoltare la classe. Non so stare senza l’odore della classe. Odore di sudore dopo l’ora di ginnastica o durante il compito di matematica. Odore di gomme americane masticate di nascosto e attaccate sotto al banco. Odore di scarpe di gomma e del profumo della prof d’inglese.
Il sostegno è un caos calmo e io non cambio mestiere. Perché quello dell’insegnante di sostegno è un mestiere che amo, ancora oggi dopo vent’anni. E non si tratta di un amore cieco, no. Lo amo a ragion veduta, perché credo in lui, perché lo conosco veramente. Perché, anche se spesso non mi sento adeguato, e forse a volte proprio non lo sono, è un mestiere che mi dà la possibilità di migliorare, di farcela, di crescere. Ogni scuola è diversa, ogni classe, ogni alunno, ogni collega, ogni incontro sono diversi. Ogni giorno è diverso. E ogni giorno si impara. Come si fa a non amare un mestiere così?
Il sostegno è un caos calmo e io non cambio mestiere. Per quell’amico che ha scritto per me: “Voglio essere il vento che spinge un po’ più lontano le sue idee”. Perché, è proprio vero, un’idea ha bisogno di vento per andare lontano. Allora costruiamola questa idea, costruiamola insieme, e diamole il vento necessario per spingerla lontano, per innovare sul serio.
Il sostegno è un caos calmo. E io ho proprio deciso: non cambierò mestiere. Mai!
carloscataglini, 2011
Convegno Internazionale
“La Qualità dell’integrazione scolastica e sociale”
Il sostegno è un caos calmo. E io non cambio mestiere.
di carloscataglini
Il sostegno è un caos calmo. A volte nemmeno troppo calmo. Io comunque non cambio mestiere.
Non cambio mestiere perché il caos è fatica, dargli una forma e una organizzazione è fatica. E dopo tutta questa fatica io non cambio mestiere.
Non cambio perché sono convinto del fatto che sia meglio affrontare e risolvere i problemi, piuttosto che cancellarli con un colpo di spugna. Meglio non buttare via trent’anni di esperienze, competenze, emozioni e fatiche.
Io non cambio mestiere per Luca e Roberto a cui credo di aver insegnato tanto. Per Martina ed Erika a cui credo di non aver insegnato niente. Per Donato che mi ha insegnato tutto: specialmente che il tempo non va sprecato, e che se ne resta poco è un dovere viverlo bene, magari divertendosi e sorridendo il più possibile.
Io non cambio mestiere per Luisa, la prof di Educazione Artistica, che una volta mi ha detto. “Quando Luca sbava io non ce la faccio, mi viene da vomitare. Non ce la faccio proprio a tenerlo in classe”. Perché la prof Luisa è mille volte meglio di quelli che ti dicono che va tutto bene, dei muri di gomma che non ti stanno a sentire, che ti dicono “Fai tu, che sei l’esperto. Come fai, fai bene”. Per la prof Luisa che mi ha aperto la porta delle sue paure, delle sue emozioni. E che poi ha imparato, da sola e senza che le spiegassi niente, ad abbracciare Luca e a bagnarsi la maglia con la sua saliva.
Non cambio mestiere perché il sostegno è come il rugby, un gioco di contatto. Fianco a fianco, gomito a gomito, occhi negli occhi. Ma non solo in due, tutta la squadra. Con compagni di classe e colleghi insegnanti. La meta è avanti e bisogna avanzare insieme, rimanendo vicini e facendosi sostegno a vicenda, tutti. Non si gioca a rugby da lontano, senza contatto. Non si fa sostegno da lontano, senza contatto.
Per Lucia, Massimo e Gianni. Maestri di scuola, maestri sempre.
Non cambio mestiere per tutte le volte che ho pensato che tanto era inutile, che mi sono sentito inutile. Che mi sono sentito frustrato e poco considerato. Che ho spiegato cento volte la stessa cosa, che ho ricominciato a rispiegarla da capo.
Non cambio mestiere perché poi è impagabile il momento in cui nasce un’idea, in cui ti accorgi che l’idea funziona, che un obiettivo è raggiunto. E ti senti utile, realizzato, considerato.
Non cambio per tutte le volte che ho avuto difficoltà ad aprire la porta ed entrare in classe. Per tutte le volte che poi ho aperto la porta e sono entrato in classe.
Perché la classe è la mia vita. E io di mestiere faccio l’insegnante, non il supervisore. Se non sto con i colleghi e con i ragazzi come faccio a dare indicazioni? Io non lo so fare da dietro una scrivania.
Non so fare il supervisore e non lo voglio fare. Non cambio mestiere.
Non cambio perché credo sia realizzabile la vera integrazione e l’inclusione di tutti gli alunni nelle attività comuni. Perché credo sia realizzabile la piena collaborazione tra docenti curricolari e di sostegno in un progetto comune.
E, ogni tanto, si risente in giro: “Superare la figura dell’insegnante di sostegno!”
E, invece, credo sia necessario valorizzarla questa figura, magari rivedendone competenze e profilo. Rinnovare la figura dell’insegnante di sostegno con una proposta partecipata, veramente partecipata a partire dalla base. Da noi. Rispondiamo a una proposta che prevede il superamento della figura dell’insegnante di sostegno con un’altra proposta, la nostra. Discutiamone in rete. Già dai prossimi giorni. Su face book c’è il gruppo “Insegnanti di sostegno”, iniziamo da là!
Non cambio perché i veri C.R.I., i Centri Risorse Integrazione, devono essere le scuole stesse e non enti esterni con poteri speciali che non conoscono, non possono conoscere, la quotidianità, l’operatività, i bisogni, le esigenze, le dinamiche emotive, sociali e didattiche di ogni singola scuola, di ogni singola classe, di ogni singolo alunno.
Non cambio mestiere perché voglio vedere il giorno in cui la presa in carico dei problemi nell’integrazione scolastica sarà veramente condivisa da tutti coloro che nella scuola lavorano.
Per vedere il giorno in cui tutti i dirigenti scolastici prenderanno in carico il problema, credendo veramente che la costituzione e la vita del GLH d’istituto sia importante come la formazione delle classi, come gli scrutini, come la convocazione della riunione del collegio dei docenti per l’adozione dei libri di testo.
Non cambio mestiere perché aspetto il giorno in cui i genitori dei ragazzi disabili non ci chiederanno più di tenere i loro figli a scuola fino a trent’anni. Perché fuori dalla porta di scuola non c’è nulla per i loro figli, perché solo la scuola pubblica, così com’è oggi, tra errori e successi, la porta non la chiude mai.
E voglio vedere il giorno in cui qualcuno verrà a chiedere per il proprio figlio meno ore di sostegno. Che magari faccia anche ricorso per averne di meno. Perché questo significherebbe che le cose funzionano, che la scuola è diventata veramente accogliente.
Non cambio mestiere perché innovare non significa demolire. Cos’è che non va? L’eccessiva delega all’insegnante di sostegno, la scarsa formazione dei curricolari in tema di integrazione, la mancanza di una valutazione dei processi integrativi, la mancanza di documentazione e di circolarità delle esperienze e delle buone prassi. Sono solo alcune delle cose che non vanno. Per ciascuna mi viene in mente una soluzione, anche più di una. Basta volerlo, volerlo veramente. Per nessuna di esse, l’abolizione della figura dell’insegnante di sostegno mi sembra una buona soluzione.
Non cambio mestiere perché non so farne un altro. Non so fare nient’altro che non sia stare in classe, vedere, toccare, ascoltare la classe. Non so stare senza l’odore della classe. Odore di sudore dopo l’ora di ginnastica o durante il compito di matematica. Odore di gomme americane masticate di nascosto e attaccate sotto al banco. Odore di scarpe di gomma e del profumo della prof d’inglese.
Il sostegno è un caos calmo e io non cambio mestiere. Perché quello dell’insegnante di sostegno è un mestiere che amo, ancora oggi dopo vent’anni. E non si tratta di un amore cieco, no. Lo amo a ragion veduta, perché credo in lui, perché lo conosco veramente. Perché, anche se spesso non mi sento adeguato, e forse a volte proprio non lo sono, è un mestiere che mi dà la possibilità di migliorare, di farcela, di crescere. Ogni scuola è diversa, ogni classe, ogni alunno, ogni collega, ogni incontro sono diversi. Ogni giorno è diverso. E ogni giorno si impara. Come si fa a non amare un mestiere così?
Il sostegno è un caos calmo e io non cambio mestiere. Per quell’amico che ha scritto per me: “Voglio essere il vento che spinge un po’ più lontano le sue idee”. Perché, è proprio vero, un’idea ha bisogno di vento per andare lontano. Allora costruiamola questa idea, costruiamola insieme, e diamole il vento necessario per spingerla lontano, per innovare sul serio.
Il sostegno è un caos calmo. E io ho proprio deciso: non cambierò mestiere. Mai!
carloscataglini, 2011