Il concetto fondamentale delle nuove neuroscienze è che nel corso del
tempo il cervello è sempre disposto a “riformarsi” e a “modificarsi”.
Il cervello, come la vita, non è una “cosa statica”, ma un divenire, un
processo di auto creazione noto con il termine di “autopoiesi”. L’idea
dunque di una intelligenza immutabile è “falsa” (Rose). La ricerca
mostra che è possibile accrescere la propria intelligenza (Dean,
Morgenthaler).
Negli esperimenti con pulcini, ratti e topi, una nuova
esperienza si traduce in un aumento dell’attività neuronale (Kim,
Baxter). Il cervello di oggi non è quello di ieri e non sarà quello di
domani.
Alla nascita, il bambino ha “quasi” tutti i cento miliardi di neuroni
(Rose). Ciò significa la nascita di circa 250000 neuroni ogni minuto di
ogni giorno dell’ intero periodo di gestazione.
Le connessioni neurali possono essere modificate in due modi:
dall’esperienza e dall’ evoluzione biologica (Aamodt, Wang). E’ un
fenomeno che influisce sulle nostre capacità di pensare, apprendere,
ricordare e pianificare strategie comportamentali. La deprivazione nell’
infanzia può, ad esempio, interferire con lo sviluppo cerebrale.
Ricerche al riguardo mostrano che i bambini che hanno trascorso
l’infanzia in un istituto presentano disturbi dello sviluppo del
cervello e problemi comportamentali che permangono anche in età adulta.
Tale processo è noto come fenomeno di “plasticità sinaptica” o
“neuronale”. Un fenomeno che comincia già nel grembo materno: il neonato
infatti appena viene al mondo, riconosce la voce della madre e quella
di altre persone e preferisce la musica ascoltata prima di nascere
(Fifer). E’ stato accertato poi che il quoziente d’intelligenza (QI)
cresce o diminuisce a seconda del tipo di stimolazione cui il cervello
infantile viene sottoposto.
I neuroscienziati sostengono dunque che il cervello è un sistema che
si “auto-organizza” e ha “un’impressionante plasticità” (Marcus), che
ci accompagna durante tutta la vita. Nel 1965, grazie alle scoperte di
Altman e Das, cade pertanto il dogma che il cervello fosse costituito da
un numero fisso di neuroni e che non potesse più esservi generazione di
nuovi neuroni. E’ ormai certa la neuro genesi nell’adulto.
E’ stato il grande neuroscienziato polacco Jerzy Konorski ad
utilizzare nel 1948 il termine “plasticità” per descrivere i cambiamenti
cerebrali, che sono dovuti alla forza di connessione tra neuroni
espressa dall’influenza dell’esperienza. In precedenza, Ramòn y Cajal
aveva sostenuto che la capacità dei neuroni di “maturare e il loro
potere di creare nuove connessioni possono spiegare l’apprendimento”.
Nei primi anni Cinquanta del secolo scorso inoltre numerosi studi
avevano mostrato che “ripetute somministrazioni di uno stimolo elettrico
a una via nervosa riuscivano ad alterare la trasmissione sinaptica in
quella via” (LeDoux), generando in tal modo una plasticità sinaptica
(Kandel).
Di particolare importanza, sono state le prime ricerche di Larrabee e
Bronk ,1947; Lloyd, 1949; Bronk, 1952. Da parte sua, John Eccles ha
riscontrato cambiamenti nell’ attivazione sinaptica, mentre Thompson e
Spencer nel 1966 hanno trovato una prova che le modificazioni sinaptiche
potessero spiegare l’ apprendimento. Essi hanno studiato l’ “abituazione” nel riflesso di ritrazione di un arto nei gatti. L’ “abituazione”
è una forma di apprendimento in cui ripetute presentazioni di uno
stimolo inducono l’indebolimento di una risposta: si sussulta, ad
esempio, la prima volta che si percepisce un forte rumore, ma se questo
si ripete più volte, la reazione è minore.
Le emozioni poi svolgono un ruolo cruciale nell’organizzazione
dell’attività del cervello. Gli stimoli emotivi infatti sono tra i più
potenti attivatori dei sistemi cerebrali (LeDoux) e dell’ apprendimento.
Più ampia dunque è la gamma di emozioni che un bambino esperisce,
maggiore sarà lo spettro emotivo della mente che si sviluppa. Nel 1904,
Richard Semon, scienziato tedesco, coniò il termine “engramma” per
riferirsi alla rappresentazione neurale di una memoria.
Le ricerche sulla plasticità neurale, sull’apprendimento e la memoria
sono stati effettuate in molti invertebrati: api, cavallette, aragoste,
mosche e diversi molluschi. Gli studi di Kandel sul mollusco “Aplysia
californica” sono stati particolarmente approfonditi ed hanno
rappresentato un fattore determinante per il conferimento allo
scienziato del Nobel per la medicina nel 2000. Kandel ha dimostrato per
la prima volta che i neuroni “mutano” se stimolati. Ciò conferma la
teoria che
l’esperienza modifica il cervello. Il quale non è più considerato,
come abbiamo detto, un organo rigido, come si riteneva nel passato, ma
un organo plastico, capace cioè di modellarsi e rimodellarsi continuamente in seguito alle nostre esperienze.
La parte del cervello che presenta una maggiore plasticità è l’area
anteriore del cervello proprio al di sopra degli occhi: sono i lobi
frontali. Lì risiede la coscienza.
Nel corso della nostra vita, l’esperienza ci “modella”
incessantemente. Essa è “scolpita” nella complessa struttura di
connessioni tra neuroni. L’apprendimento dunque “scolpisce” il cervello,
creando sempre nuovi, intricati disegni nelle connessioni neurali.
La continua trasformazione del cervello costituisce un fattore
fondamentale soprattutto nel processo evolutivo, nell’ educazione del
bambino e nell’invecchiamento. Le parole dell’insegnante, così come
quelle che state leggendo in questa pagina, inviano un impulso
d’attività elettrica nel cervello di chi ascolta o legge attraverso
milioni di cellule cerebrali. Queste parole lasciano una “traccia”
nella mente. Ecco una forma d’immortalità: tracce di noi stessi
“impresse fisicamente” nel cervello dei nostri figli! La tendenza quindi
ad abbandonare i bambini davanti alla televisione è una “cattiva
abitudine”. L’atteggiamento passivo di chi guarda la televisione non
aiuta la formazione di nuove connessioni neurali e pertanto impedisce lo
sviluppo intellettivo dell’essere umano.
L’attività fisica e mentale stimola la secrezione di neurotrofine,
sostanze che favoriscono lo sviluppo dei neuroni; migliora l’agilità
psichica e la salute del corpo nell’invecchiamento; e previene i guasti
del morbo di Parkinson e di Alzheimer. Comunicare dunque con gli altri
cambia “materialmente” il nostro cervello, fenomeno che avviene non solo
durante l’ infanzia, bensì lungo l’intera nostra esistenza. La
conoscenza (l’apprendimento) pertanto “scolpisce” il nostro cervello,
creando sempre nuove connessioni tra neuroni.
Esperimenti effettuati su musicisti hanno mostrato che la musica non
solo espande specifiche aree legate alle parti del corpo impiegate nel
suonare uno strumento, ma induce anche variazioni fisiche del cervello.
Un altro straordinario effetto della plasticità cerebrale è la
possibilità di modificare i circuiti neurali con la semplice attività
mentale, senza cioè compiere alcun atto. Molti famosi musicisti, ad
esempio, sono soliti esercitarsi poco allo strumento e molto
mentalmente. Come hanno rivelato esperimenti di “brain imaging”,
immaginare mentalmente un movimento- training mentale- è come compiere
fisicamente quel movimento, poiché stimola i circuiti di neuroni, dove
hanno sede le capacità atletiche o fisiche, come è il caso di un atleta
che ha una caviglia slogata o del chirurgo per migliorare la tecnica
operatrice o del musicista per eseguire una partitura senza ricorrere
all’ uso dello strumento.
Il principio “se non lo usi (il cervello), lo perdi” dunque è vero,
così come è vero anche l’altro principio: “ se lo usi, lo migliori”. I
neuroni o le sinapsi
che non si connettono tra loro tramite l’apprendimento e la conoscenza,
spariscono, subiscono cioè un processo di potatura (apoptosi).
Ciò che conta tuttavia nello sviluppo mentale del bambino non è
“quanta” stimolazione gli viene offerta, ma “come” gli adulti “adattano”
quel che dicono o fanno alle parole e alle azioni del bambino. Buoni
genitori e buoni insegnanti possono compiere prodigi sul cervello del
bambino.
I traumi e lo stress cambiano il cervello: ogni ora di ogni giorno.
Essi provocano un abbassamento delle difese immunitarie del corpo contro
le malattie e le infezioni. Persino, alterare l’espressione del proprio
volto può cambiare l’umore e stimolare particolari emozioni. Un volto
triste o aggressivo induce a pessimismo, insicurezza, inquietudine,
tristezza. Un volto sorridente o gentile migliora l’umore e crea stati
d’animo positivi, benefici, sereni. Si determina un contagio emotivo.
Se, ad esempio, i ratti appena nati vengono lisciati sul pelo del dorso,
il loro cervello si sviluppa diversamente da quello dei topolini che
non ricevono lo stesso stimolo. Il bambino privato delle carezze e
dell’affetto mostra un cervello “inadeguato” (Chugani).
Conclusioni
Non tutti i bambini nascono uguali. Il cervello di ognuno di noi si
sviluppa in maniera diversa. Il cervello è “unico” e “differente” da
tutti gli altri. Non esistono due cervelli uguali. L’ apprendimento e i
sistemi educativi in famiglia e a scuola devono essere adeguati alle
capacità, alle disposizioni naturali e al grado di conoscenza di
ciascun bambino.
Concludiamo, dicendo che qualsiasi esperienza “scolpisce” fisicamente
le connessioni neurali e rimane “incisa” dentro il cervello. Tutto ciò
avviene a 8 giorni dalla nascita oppure a 80 anni. Fino all’ultimo, il
cervello è “affamato” di nutrimento offerto dall’ ambiente e
dall’esperienza.
fonte: neuroscienze.net