giovedì 30 agosto 2012

In occasione delle Paralimpiadi.

Qualche anno fa, alle Olimpiadi di Seattle per disabili, nove partecipanti con un handicap mentale o fisico, si allinearono sulla linea di partenza dei cento metri piani. Al colpo di pistola partirono tutti: non esattamente a razzo, ma con
una determinazione che faceva loro assaporare il gusto della competizione, della corsa da portare a termine.
Tutti, cioè, tranne un ragazzo che incespicò al primo passo, fece un paio di capitomboli e si mise a piangere. Gli altri otto lo sentirono piangere, rallentarono la corsa e si girarono: e ognuno di loro, dal primo all'ultimo, ritornò sui suoi passi.
Una ragazza Down si piegò su di lui, lo baciò e gli disse: "Questo te lo farà passare".
Lo aiutarono a rialzarsi, poi i nove, stavolta tutti insieme, tagliarono il traguardo, camminando insieme, tenendosi a braccetto.
Tutto il pubblico nello stadio si alzò in piedi, in un applauso che durò parecchi minuti. E le persone che c'erano ne parlano ancora. Perché? Perché in fondo all'animo sappiamo tutti che ciò che conta veramente nella vita è qualcosa di più che ottenere medaglie e vittorie per noi stesse. Ciò che veramente conta nella vita è aiutare gli altri nella loro corsa, anche se per noi ciò significa rallentare e modificare il nostro percorso.