Della sindrome di Down si parla spesso in base a dei cliché sapendo poco di quello che vive chi si trova in questa condizione. La trisomia 21 determina una serie di problemi a livello muscolare, ipotono che diminuisce l’attività degli arti e rende i movimenti lenti e impacciati, difficoltà di linguaggio ed estrema sensibilità sensoriale.
Cadere nell’equivoco del binomio sindrome di Down-ritardo mentale è semplicemente fuorviante e dipende da un problema comune di disturbi del linguaggio che impediscono la comunicazione, facendo credere che si tratti di una carenza cognitiva.
Fin da piccola mi sono resa conto che la mia mente era efficiente. Ma avevo un problema di funzionamento. Mi sentivo molto soffocata dalla massa di emozioni e stimoli sensoriali. Capitava che mi sentissi sovrastare dal rumore o dall’ansia al punto di non riuscire a muovere un muscolo. In quei momenti sentire che il mio comportamento era considerato un puro capriccio non faceva che peggiorare la situazione. Come far capire che era un blocco emotivo? Io sono stata fortunata perché ho trovato il modo di comunicare, attraverso la scrittura al pc, quello che avevo dentro.
È stata una grande svolta essere finalmente in grado di esprimere emozioni e bisogni. Certamente avere il riconoscimento della mia intelligenza era la cosa più bella di questo mio modo di comunicare tacito ma ricco, tanto che a scuola facevo il programma dei miei compagni con risultati veramente gratificanti.
Gli ostacoli più duri li ho trovati alla scuola superiore, impreparata a percorsi nuovi. Il mio grande sogno era di studiare e sentivo che avrei potuto farcela. Molto ho lottato con tutte le mie forze per raggiungere il mio obiettivo e ci sono arrivata all’università. Per me lo studio è illuminazione, spazio arioso e orizzonti nuovi, e nell’attenta preparazione agli esami il mio tempo si riempie felicemente. Finora i risultati sono stati incoraggianti, con una media di 30/30.
Grazie alla mia modalità di comunicazione al pc, il desiderio di riversare all’esterno le forti emozioni che si aggrovigliavano dentro la mente ha trovato finalmente un personale sbocco nella poesia. I due libri che ho pubblicato rispecchiano il mio canto nella straordinaria avventura della vita. Molte volte ho pensato cosa sarebbe stato del mondo interiore decisamente variegato e rutilante se non avessi trovato il mio strumento di comunicazione. Si sarebbero desolatamente, dolorosamente ammassate, intricate forti impressioni, senza via di uscita, creando un ingorgo terribile.
Molte idee sbagliate circolano sulle persone con trisomia 21, perché conta più l’apparenza e si giudica in base a questa. Siamo sicuri che queste persone abbiano un deficit cognitivo? Solo perché non danno le risposte giuste a voce? Abbiamo provato con altre strategie non verbali? Immaginiamo la frustrazione a sapere la risposta e non riuscire a darla?
Rimanere sulle lamentele serve poco, l’atteggiamento più costruttivo è la via del cambiamento. Percorsi di inserimento nel lavoro, di vita indipendente, di studi superiori, sono sempre più frequenti, spesso grazie alla forza delle famiglie, nonostante i limiti pesantemente ricalcati nelle previsioni di fior di specialisti. Nessuno nega che la sindrome comporti delle difficoltà. Certo bisogna tener conto delle peculiarità di ciascuno con una sempre attenta visione realistica, accettando i limiti senza però tralasciare le potenzialità. Molto va sprecato per un senso di rassegnazione, di paura di illudersi, cedendo alle secolari credenze sulla sindrome.
Il mettersi in gioco assieme, dare fiducia, saper fare tesoro delle esperienze positive di chi realmente ha raggiunto degli obiettivi alti è davvero il più giusto atteggiamento. Per dare la motivazione necessaria a cimentarsi in una sempre difficile, forte lotta contro i pregiudizi dobbiamo impegnarci per portare alla luce il potenziale racchiuso in ogni persona con trisomia 21.
Cadere nell’equivoco del binomio sindrome di Down-ritardo mentale è semplicemente fuorviante e dipende da un problema comune di disturbi del linguaggio che impediscono la comunicazione, facendo credere che si tratti di una carenza cognitiva.
Fin da piccola mi sono resa conto che la mia mente era efficiente. Ma avevo un problema di funzionamento. Mi sentivo molto soffocata dalla massa di emozioni e stimoli sensoriali. Capitava che mi sentissi sovrastare dal rumore o dall’ansia al punto di non riuscire a muovere un muscolo. In quei momenti sentire che il mio comportamento era considerato un puro capriccio non faceva che peggiorare la situazione. Come far capire che era un blocco emotivo? Io sono stata fortunata perché ho trovato il modo di comunicare, attraverso la scrittura al pc, quello che avevo dentro.
È stata una grande svolta essere finalmente in grado di esprimere emozioni e bisogni. Certamente avere il riconoscimento della mia intelligenza era la cosa più bella di questo mio modo di comunicare tacito ma ricco, tanto che a scuola facevo il programma dei miei compagni con risultati veramente gratificanti.
Gli ostacoli più duri li ho trovati alla scuola superiore, impreparata a percorsi nuovi. Il mio grande sogno era di studiare e sentivo che avrei potuto farcela. Molto ho lottato con tutte le mie forze per raggiungere il mio obiettivo e ci sono arrivata all’università. Per me lo studio è illuminazione, spazio arioso e orizzonti nuovi, e nell’attenta preparazione agli esami il mio tempo si riempie felicemente. Finora i risultati sono stati incoraggianti, con una media di 30/30.
Grazie alla mia modalità di comunicazione al pc, il desiderio di riversare all’esterno le forti emozioni che si aggrovigliavano dentro la mente ha trovato finalmente un personale sbocco nella poesia. I due libri che ho pubblicato rispecchiano il mio canto nella straordinaria avventura della vita. Molte volte ho pensato cosa sarebbe stato del mondo interiore decisamente variegato e rutilante se non avessi trovato il mio strumento di comunicazione. Si sarebbero desolatamente, dolorosamente ammassate, intricate forti impressioni, senza via di uscita, creando un ingorgo terribile.
Molte idee sbagliate circolano sulle persone con trisomia 21, perché conta più l’apparenza e si giudica in base a questa. Siamo sicuri che queste persone abbiano un deficit cognitivo? Solo perché non danno le risposte giuste a voce? Abbiamo provato con altre strategie non verbali? Immaginiamo la frustrazione a sapere la risposta e non riuscire a darla?
Rimanere sulle lamentele serve poco, l’atteggiamento più costruttivo è la via del cambiamento. Percorsi di inserimento nel lavoro, di vita indipendente, di studi superiori, sono sempre più frequenti, spesso grazie alla forza delle famiglie, nonostante i limiti pesantemente ricalcati nelle previsioni di fior di specialisti. Nessuno nega che la sindrome comporti delle difficoltà. Certo bisogna tener conto delle peculiarità di ciascuno con una sempre attenta visione realistica, accettando i limiti senza però tralasciare le potenzialità. Molto va sprecato per un senso di rassegnazione, di paura di illudersi, cedendo alle secolari credenze sulla sindrome.
Il mettersi in gioco assieme, dare fiducia, saper fare tesoro delle esperienze positive di chi realmente ha raggiunto degli obiettivi alti è davvero il più giusto atteggiamento. Per dare la motivazione necessaria a cimentarsi in una sempre difficile, forte lotta contro i pregiudizi dobbiamo impegnarci per portare alla luce il potenziale racchiuso in ogni persona con trisomia 21.
pubblicato da Maria Luisa Boninelli