La mia intelligenza? Più che mediocre. I miei unici meriti sono stati
impegno e ottimismo" disse nel 2008 accogliendo la laurea honoris causa
alla Bicocca. Fragile e sottile, anche, è stata fino a ieri Rita Levi
Montalcini, nata a Torino il 22 aprile 1909 e vincitrice del Nobel per
la Medicina nel 1986. Con il suo corpo esile e gli occhi mare limpido è
riuscita comunque a iscriversi all'università contro il volere del
padre, a realizzare prima un laboratorio in casa per sfuggire alle leggi
razziste e poi a lavorare negli Stati Uniti per quasi 30 anni,
convincendo un mondo scientifico assai scettico dell'importanza di quel
Ngf "Nerve growth factor" da lei osservato nell'oculare di un
microscopio.
Poteva bastare, come dimostrazione di "impegno e ottimismo". Ma da quando nel 2001 è stata nominata senatrice a vita, a Rita Levi Montalcini è toccato anche ascoltare gli insulti di Storace ("Le porteremo a casa le stampelle") alla vigilia del voto della Finanziaria del 2007 essenziale per la sopravvivenza del governo Prodi. Quelli di Roberto Castelli, che sempre nel 2007 definì "uno spreco e un mercimonio" i finanziamenti all'European Brain Research Institute da lei diretto. Per finire ad agosto del 2011 con l'uscita di Umberto Bossi: "Scilipoti? Meglio lui di quella scienziata".
"Non sto neanche a sentirli" replicava lei senza perdere il sorriso dolce. In un articolo su Science nel 2000, Rita Levi Montalcini descrisse il suo carattere così, con poche splendide pennellate: "L'assenza di complessi psicologici, la tenacia nel seguire la strada che ritenevo giusta, l'abitudine a sottovalutare gli ostacoli - un tratto che ho ereditato da mio padre - mi hanno aiutato enormemente ad affrontare le difficoltà della vita. Ai miei genitori devo anche la tendenza a guardare gli altri con simpatia e senza diffidenza".
Oltre al padre ingegnere e matematico e alla madre pittrice, la sua famiglia era composta da un fratello e due sorelle, di cui una - l'adorata Paola - gemella. Quando l'austero capofamiglia le negò l'università in quanto donna, lei l'affrontò a viso aperto e a vent'anni ottenne di iscriversi a medicina. Quando il regime fascista la espulse dall'ateneo torinese, lei nel 1939 si costruì un laboratorio nella sua casa di corso Re Umberto. Vennero i bombardamenti, e nel 1941 tutti gli strumenti di ricerca furono reinstallati nella nuova residenza sulle colline di Asti. A Firenze poco prima della Liberazione curò i rifugiati scappati dal Nord. Nell'autunno del 1947 dall'università di Washington a Saint Louis il professor Viktor Hamburger la invitò a trascorrere un semestre negli Usa. I risultati sempre più interessanti le impedirono di tornare in Italia alla fine del semestre, e anche negli oltre vent'anni successivi. Nel corso dei quali, a partire dal '69 fino al '78 il Consiglio Nazionale delle Ricerche le affidò anche la direzione dell'Istituto di biologia cellulare.
Nel laboratorio di Saint Louis, Rita Levi Montalcini scoprì quel potente "elisir" di crescita che è Ngf. Bastava iniettarne una quantità infinitesima in una provetta con dentro alcune cellule nervose e attendere un giorno. Dalle cellule, in sole 24 ore, iniziava a svilupparsi un alone talmente ricco di filamenti da renderle simile a un Sole pieno di raggi. Il fattore di crescita delle cellule nervose era solo il primo di tanti ingredienti che gli organismi viventi usano per trasmettere informazioni al loro interno. Altre centinaia di molecole simili sarebbero state scoperte in seguito. Ma in quel laboratorio di Saint Louis negli anni '50 si iniziò a capire come mai un essere vivente nasca da una singola cellula ma riesca a diventare col tempo un'architettura composta da decine di tessuti diversi. Sono i fattori di crescita a indicare la strada a ciascun segmento di un organismo. Bastano poche molecole di Ngf in una zona del corpo per farvi crescere le cellule del sistema nervoso necessarie al suo perfetto funzionamento.
"La scoperta di Ngf - spiegò oltre trent'anni più tardi il comitato Nobel a Stoccolma assegnandole il premio assieme al collega Stanley Cohen - è l'esempio di come un osservatore acuto riesca a elaborare un concetto a partire da un apparente caos". Rita Levi Montalcini è stata una delle 10 donne (contro 189 uomini) a ricevere il premio scientifico più prestigioso. Ma forse l'unica ad accompagnare i suoi articoli scientifici con illustrazioni tanto eleganti quanti i vestiti che amava disegnare per se stessa.
Sull'origine della sua capacità di osservazione, Rita Levi Montalcini ha sempre avuto le idee chiare, attribuendo parte del suo successo al maestro Giuseppe Levi, il professore di istologia di Torino le cui lezioni formarono altri due Nobel per la medicina: Salvador Luria e Renato Dulbecco, anche lui scomparso recentemente. Era lui uno degli amici più cari della scienziata, che in un'intervista a Repubblica nel 2008 rivelò: "Quando avevo tre anni decisi che non mi sarei mai sposata" e in un'altra a Omni nel 1998 spiegò che anche nel matrimonio fra due persone brillanti "una finisce col soffrire perché l'altra ha più successo". Lei, che di complessi non soffriva, non si è mai lamentata degli occhi che non vedevano quasi più e delle protesi acustiche che la mantenevano in contatto con gli altri.
Poteva bastare, come dimostrazione di "impegno e ottimismo". Ma da quando nel 2001 è stata nominata senatrice a vita, a Rita Levi Montalcini è toccato anche ascoltare gli insulti di Storace ("Le porteremo a casa le stampelle") alla vigilia del voto della Finanziaria del 2007 essenziale per la sopravvivenza del governo Prodi. Quelli di Roberto Castelli, che sempre nel 2007 definì "uno spreco e un mercimonio" i finanziamenti all'European Brain Research Institute da lei diretto. Per finire ad agosto del 2011 con l'uscita di Umberto Bossi: "Scilipoti? Meglio lui di quella scienziata".
"Non sto neanche a sentirli" replicava lei senza perdere il sorriso dolce. In un articolo su Science nel 2000, Rita Levi Montalcini descrisse il suo carattere così, con poche splendide pennellate: "L'assenza di complessi psicologici, la tenacia nel seguire la strada che ritenevo giusta, l'abitudine a sottovalutare gli ostacoli - un tratto che ho ereditato da mio padre - mi hanno aiutato enormemente ad affrontare le difficoltà della vita. Ai miei genitori devo anche la tendenza a guardare gli altri con simpatia e senza diffidenza".
Oltre al padre ingegnere e matematico e alla madre pittrice, la sua famiglia era composta da un fratello e due sorelle, di cui una - l'adorata Paola - gemella. Quando l'austero capofamiglia le negò l'università in quanto donna, lei l'affrontò a viso aperto e a vent'anni ottenne di iscriversi a medicina. Quando il regime fascista la espulse dall'ateneo torinese, lei nel 1939 si costruì un laboratorio nella sua casa di corso Re Umberto. Vennero i bombardamenti, e nel 1941 tutti gli strumenti di ricerca furono reinstallati nella nuova residenza sulle colline di Asti. A Firenze poco prima della Liberazione curò i rifugiati scappati dal Nord. Nell'autunno del 1947 dall'università di Washington a Saint Louis il professor Viktor Hamburger la invitò a trascorrere un semestre negli Usa. I risultati sempre più interessanti le impedirono di tornare in Italia alla fine del semestre, e anche negli oltre vent'anni successivi. Nel corso dei quali, a partire dal '69 fino al '78 il Consiglio Nazionale delle Ricerche le affidò anche la direzione dell'Istituto di biologia cellulare.
Nel laboratorio di Saint Louis, Rita Levi Montalcini scoprì quel potente "elisir" di crescita che è Ngf. Bastava iniettarne una quantità infinitesima in una provetta con dentro alcune cellule nervose e attendere un giorno. Dalle cellule, in sole 24 ore, iniziava a svilupparsi un alone talmente ricco di filamenti da renderle simile a un Sole pieno di raggi. Il fattore di crescita delle cellule nervose era solo il primo di tanti ingredienti che gli organismi viventi usano per trasmettere informazioni al loro interno. Altre centinaia di molecole simili sarebbero state scoperte in seguito. Ma in quel laboratorio di Saint Louis negli anni '50 si iniziò a capire come mai un essere vivente nasca da una singola cellula ma riesca a diventare col tempo un'architettura composta da decine di tessuti diversi. Sono i fattori di crescita a indicare la strada a ciascun segmento di un organismo. Bastano poche molecole di Ngf in una zona del corpo per farvi crescere le cellule del sistema nervoso necessarie al suo perfetto funzionamento.
"La scoperta di Ngf - spiegò oltre trent'anni più tardi il comitato Nobel a Stoccolma assegnandole il premio assieme al collega Stanley Cohen - è l'esempio di come un osservatore acuto riesca a elaborare un concetto a partire da un apparente caos". Rita Levi Montalcini è stata una delle 10 donne (contro 189 uomini) a ricevere il premio scientifico più prestigioso. Ma forse l'unica ad accompagnare i suoi articoli scientifici con illustrazioni tanto eleganti quanti i vestiti che amava disegnare per se stessa.
Sull'origine della sua capacità di osservazione, Rita Levi Montalcini ha sempre avuto le idee chiare, attribuendo parte del suo successo al maestro Giuseppe Levi, il professore di istologia di Torino le cui lezioni formarono altri due Nobel per la medicina: Salvador Luria e Renato Dulbecco, anche lui scomparso recentemente. Era lui uno degli amici più cari della scienziata, che in un'intervista a Repubblica nel 2008 rivelò: "Quando avevo tre anni decisi che non mi sarei mai sposata" e in un'altra a Omni nel 1998 spiegò che anche nel matrimonio fra due persone brillanti "una finisce col soffrire perché l'altra ha più successo". Lei, che di complessi non soffriva, non si è mai lamentata degli occhi che non vedevano quasi più e delle protesi acustiche che la mantenevano in contatto con gli altri.